“SACRAMENTUM MAGNUM”
Alla
scoperta della santità
del sacramento del matrimonio
….
Da dove trarrò il mio sunto. Buona lettura.
Dagli
anni ’70 ad oggi la Famiglia ha perso la sua solidità, molto è dipeso dal
contesto storico che stiamo vivendo, la Chiesa non può rispondere a questi
attacchi se non sollecitando la famiglia
a rimanere unita e soprattutto in preghiera. Già alle nozze di Canaa la Vergine
Maria agisce chiedendo a Suo Figlio Gesù di compiere il miracolo di tramutare
l’acqua in vino anche noi possiamo chiedere l’ intervento di Gesù attraverso
sua Madre quando nella nostra vita familiare, inizia a mancare l’allegria nel
nostro matrimonio certi che la vita abituale, possa ritornare ad essere vino, e la coppia in crisi
a sorridere. In questo tempo la Chiesa
ci chiama alla Speranza , un salmo dice “coraggio, spera nel Signore….e
tornerai a lodarlo….” Alla Nostra Madre
celeste , il Santo Giovanni Paolo II ha voluto attribuire, tra gli altri, il titolo di “Regina
della Famiglia”, perché con la sua materna e vigile intercessione contribuisca a salvare le
famiglie che vacillano e soprattutto a formare le nuove giovani coppie perché
siano capaci di costruire famiglie che siano case e scuole di vera santità, focolari
dove si vive e si respira l’amore, solide case costruite sull’unica Roccia
della Chiesa e del mondo, Gesù Cristo nostro Signore. La Chiesa
ha questa certezza , crede che ognuno di noi possa rendere possibile questo
impossibile progetto e noi? Crediamo in noi stessi e soprattutto affidiamo il
nostro matrimonio a che ha voluto la nostra unione? Nelle difficoltà chiediamo
l’intervento di Maria? accettiamo di morire in croce per l’altro e Resuscitare con Gesu’ Cristo nella nostra
realtà di vita vocazionale?
1. LA CHIAMATA DI DIO ALL’UOMO LA VITA CRISTIANA COME
VOCAZIONE
1. VOCAZIONE ALLA VITA
Sappiamo, dalla
Rivelazione, che solo Dio è eterno ed è la fonte dell’essere di tutte le cose:
già
nell’AT, sul monte
Sinai, dal roveto ardente rivelò il suo nome trascendente: “Io sono Colui che
sono” (Es 3,14),
ovvero non soltanto immortale,
ma anche innascibile,
al di là ed al di sopra del
tempo, fonte
dunque della vita e dell’essere di tutto ciò che è, sia del mondo sensibile
inanimato,
sia degli esseri
viventi, sia degli esseri spirituali materiali (uomo) o spirituali (angeli).
Dio, eterno, è
unico, ma non è da solo: il Vangelo di Giovanni, nei suoi primi versetti, ci
porta
nel cuore del
mistero della vita eterna di Dio, rivelandoci l’eterna esistenza e generazione
del
Verbo, il Figlio
di Dio, per mezzo del quale tutte le cose sono state create: “In principio era
il Verbo:
tutto è stato
fatto per mezzo di Lui e senza di Lui nulla è stato fatto” (cf Gv 1,1-3).
Dio, dunque,
decise di “uscire da Sé” e dare origine all’universo, il cui vertice è
raggiunto dalle
creature
intelligenti, tra cui l’uomo, create ad immagine e somiglianza di Dio e da Lui
pensate e
volute perché
partecipassero della sua eterna felicità prima ancora di creare il mondo, come
ci
ricordano san Paolo
e il profeta Geremia: “In Lui [in Cristo] ci ha scelti, prima della creazione
del
mondo…” (Ef 1,4).
“Prima di formarti nel grembo materno ti conoscevo, prima che tu uscissi alla
luce ti avevo
consacrato”…. (Ger 1,5).
Siamo dunque stati
pensati e chiamati alla vita da tutta l’eternità, ma abbiamo tutti una data di
nascita: siamo
nati in un determinato e preciso tempo storico. Questo fatto non è casuale:
siamo
nati ora perché il
nostro posto nella storia era in questo tempo. Bisogna riflettere anzitutto sul
mistero
dell’essere e della vita: io non ho chiesto di esserci; non ricordo nemmeno il
momento in
cui ho cominciato
a vivere. So quando sono nato perché me l’hanno detto i miei genitori; ma
probabilmente
neanche loro sanno, esattamente, quando sono stato concepito. Dunque anche la
mia “genesi
umana”, mi ricorda che la vita, la mia vita, è, in sé, un
dono e
un mistero.
Ma perché
ci sono? La rivelazione cristiana ha una risposta duplice a questo
interrogativo: il mio
essere è anzitutto
il frutto dell’amore gratuito di Dio. San Giovanni scrive nelle sue lettere:
“Dio è
amore” (1Gv 4,16).
Dunque il motivo per cui ci ha creati è l’amore e per
amare: è questo il motivo
per cui ogni uomo c’è.
San Paolo aggiunge anche il fine
particolare per cui siamo stati creati e per
cui siamo nati in
un certo momento: dice infatti che siamo stati “creati per le buone opere che
Dio
ha predisposto
perché noi le praticassimo” (Ef 2,10). Dunque ci sono alcune cose che devo
compiere io,
soltanto io, in vista di un progetto che non conosco ma che già è stato
scritto. Per
essere all’altezza
della mia missione dovrò farmi aiutare e dovrò chiedere l’aiuto di Gesù, dato
che,
come Lui stesso ci
ricorda “senza di Me, non potete fare nulla…” (Gv 15,5).
2. VOCAZIONE ALLA SANTITÀ
Il discorso sulla
chiamata alla vita, dunque, termina in quello sulla scoperta della mia
missione.
Una missione che,
sotto certi aspetti, è uguale per tutti e che ha un nome ben preciso: la
santità Dio vuole, infatti, che tutti gli uomini siano santi, cioè vivano lo
stesso amore che Dio è e vive in se
stesso, come ci
ricorda più volte la Sacra Pagina: “[ci ha creati] per essere santi e
immacolati al suo cospetto nella carità”
(Ef 1,4); “Siate santi, perché io, il Signore Dio vostro, sono santo” (Lv
19,2); “Dio è amore: chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in Lui” (1Gv
4,16); “Questa è la
volontà di Dio: la
vostra santificazione” (1Ts 4,3). Ce lo ricorda anche il Concilio Vaticano II:
“Il
Signore Gesù,
maestro e modello divino di ogni perfezione, a tutti e ciascuno dei suoi
discepoli di
qualsiasi
condizione, ha predicato quella santità di vita di cui Egli stesso è l’Autore:
‘siate perfetti
come è perfetto il
Padre vostro celeste” (LG 40). A questo sono ordinati tutti i sacramenti,
anzitutto
quelli dell’iniziazione
cristiana. Il sacramento del Battesimo è chiamata alla santità. “Chi crederà e
sarà battezzato sarà salvo; ma chi non crederà sarà condannato” (Mc 16,16).
“L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito che
ci è stato dato” (Rm 5,5). Con la Cresima abbiamo ratificato le promesse
battesimali e promesso a Dio di impegnarci nella santificazione. Santo è però
solo chi osserva i comandamenti di Dio, come ci ricorda Gesù nel Vangelo, rivolgendosi
al giovane ricco: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti” (Mt
19,17). A queste parole fanno eco quelle del discorso di Dio, che ci ricorda
san Giovanni: “Se mi amate, osservate i miei comandamenti; Rimanete nel mio
amore; Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore” (Gv 14,15).
3. IN UNO “STATO”
DI VITA
La chiamata alla
santità all’interno di una determinata missione specifica, non è tuttavia un
qualcosa di
astratto: si realizza infatti dentro uno stato di vita ben preciso, che è come
un “canale
privilegiato e differenziato”
in cui scorre, verso direzioni differenti, l’unica e universale chiamata
all’amore ed alla
santità: si tratta della vita coniugale da un lato e della vita consacrata
dall’altro. Il
matrimonio è
infatti una vocazione particolare all’amore, inteso come dono
totale di sé ad una
creatura.
Oltre che totale, come vedremo, quest’amore è e deve essere anche, in
condizionato,
indissolubile,
irrevocabile e esclusivo. Come l’amore di Dio esce fuori di sé nella creazione,
così
l’amore coniugale
si auto trascende nella trasmissione della vita naturale,
che ne costituisce il fine.
L’accoglienza del
dono dei figli, come vedremo, è essenziale al sacramento del Matrimonio.
La vita
consacrata, invece, qualunque sia la forma che essa prende, realizza l’unica vocazione
all’amore con il
dono totale di sé che la creatura fa al suo Creatore. Questo stato di vita
anticipa
sulla terra la
condizione che tutti vivranno in Paradiso, ovvero il termine ultimo della
vocazione
all’amore: godere
di Dio nella visione beatifica. Anche la vita consacrata esce fuori di sé per
auto
trascendersi e lo
fa attraverso la trasmissione della vita soprannaturale.
Sia i sacerdoti,
amministrando i
sacramenti, sia tutti i consacrati con la vita di preghiera e di sacrificio,
concorrono
infatti
efficacemente alla salvezza delle anime,
ossia alla vita soprannaturale delle anime, sulle quali “attirano” la presenza
della Grazia di Dio.
4. CON DEI MEZZI
Entrambi questi
stati di vita, se vissuti fedelmente, aprono le porte della santità, anche se
la
Chiesa ha da
sempre insegnato che la verginità e la vita consacrata, scelte anche da Gesù e
da
Maria,
rappresentano una via migliore di santificazione. Ma sia l’una che l’altra
necessitano di una
serie di mezzi,
che devono essere opportunamente adoperati nel cammino, pena il fallimento del
progetto di vita e
della propria missione. Anzitutto la Chiesa. Si diventa infatti santi insieme,
condividendo la vita che Gesù ha insegnato, pregando insieme, ascoltando
insieme la Parola di Dio, ricevendo i sacramenti, senza i quali nessuno può
diventare santo. La Chiesa prolunga nel tempo e nella storia la missione di
Gesù, che disse ai suoi apostoli: “chi ascolta voi, ascolta Me” (Lc 10,16); “fate
questo in memoria di Me” (Lc22,19); “quello che legherete sulla terra, sarà
legato nei cieli” (Mt 18,18); “a chi rimetterete i peccati saranno rimessi” (Gv
20,23). Non si può dunque fare a meno della Chiesa per percorrere il cammino
verso la santità. Poi vengono i
sacramenti. I sacramenti sono indispensabili per
vivere la vocazione alla santità e all’amore. In particolare i sacramenti che
si possono (e si devono!) ricevere più volte, quali la confessione (o
penitenza) e l’Eucaristia. Senza di essi non
si può vivere cristianamente. Infine (ma non da
ultimo) la preghiera. La preghiera è infatti indispensabile per ricevere le grazie
con cui Dio ci aiuta nel nostro cammino cristiano, per cui, come diceva
sant’Alfonso, “chi prega si salva, ma chi non prega si danna”. Senza preghiera
non ci può essere vita cristiana. Prima dunque di addentrarci nello specifico
della santità matrimoniale, sarà opportuno rendersi conto dell’importanza di
questi elementi, perché il sacramento del matrimonio si radica in essi e non
può sussistere e sopravvivere prescindendo da questi ultimi.
DIECI COMANDAMENTI
ALCUNE
PREMESSE
Gesù
e la Legge. “Maestro, che cosa devo fare di buono per
ottenere la vita eterna?” (Mt 19,16).
Al giovane che gli
rivolge questa domanda Gesù risponde: «Se vuoi entrare nella vita, osserva i
Comandamenti», e
poi aggiunge: «Vieni e seguimi» (Mt 19,16.21). Seguire
Gesù implica
l’osservanza dei
Comandamenti. La Legge non è abolita, ma l’uomo è invitato a ritrovarla nella
persona del divino
Maestro, che la realizza perfettamente in se stesso, ne rivela il pieno
significato
e ne attesta la
perennità. Quando gli si pone la domanda: “Qual è il più grande comandamento
della Legge?”,
Gesù risponde: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua
anima
e con tutta la tua
mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è
simile
al primo: Amerai
il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la
Legge e i Profeti”
(Mt 22,37-40). Il Decalogo deve essere interpretato alla luce di questo duplice
ed
unico comandamento
della carità, pienezza della Legge: Il precetto: non commettere adulterio, non
uccidere, non
rubare, non desiderare e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste
parole: “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (cf Rm 13,9-10 ).
Il
decalogo. La parola “Decalogo” significa alla lettera
“dieci parole”. Queste “dieci parole”
Dio le ha rivelate
al suo popolo sulla santa montagna. Le ha scritte con il suo “dito” (Es 31,18)
a
differenza degli
altri precetti scritti da Mosè [Cf Dt 31,9]. Esse sono parole di Dio per
eccellenza. Ci
sono trasmesse nel
libro dell’Esodo [Cf Es 20,1-17] e in quello del Deuteronomio [Cf Dt 5,6-22].
Fin dall’Antico Testamento i Libri Sacri fanno riferimento alle “dieci parole”.
Ma è nella Nuova
Alleanza in Gesù
Cristo che sarà rivelato il loro pieno senso.
Importanza
del Decalogo. Fedele alla Scrittura e in conformità
all’esempio di Gesù, la
Tradizione della
Chiesa ha riconosciuto al Decalogo un’importanza e un significato fondamentali.
A partire da
sant’Agostino, i “dieci comandamenti”
hanno un posto preponderante nella catechesi
dei futuri
battezzati e dei fedeli. I catechismi della Chiesa spesso hanno esposto la
morale cristiana
seguendo l’ordine
dei “dieci comandamenti”.
Le
“due tavole” del Decalogo. I dieci comandamenti enunciano le esigenze
dell’amore di Dio e
del prossimo. I
primi tre si riferiscono all’amore di Dio e gli altri sette all’amore del
prossimo.
Il
Decalogo e la legge naturale. I dieci comandamenti sono rivelati da Dio, ma
al tempo stesso
ci insegnano la
vera umanità dell’uomo. Mettono in luce i doveri essenziali e, quindi,
indirettamente, i
diritti fondamentali inerenti alla
natura della persona umana.
1. LA PRIMA
TAVOLA
Il
primo comandamento: “Non
avrai altri déi di fronte a Me”. Positivamente
esige
l’adorazione esclusiva dell’unico vero Dio.
Con esso contrastano, quindi si pecca con
:
1.
L’idola-tria,
consiste nel divinizzare una creatura, il potere, il denaro,
perfino il demonio.
2.
La
supersti-zione, è
una deviazione del culto dovuto al vero Dio, che si può esprimere anche nelle
varie forme di divinazione, magia, stregoneria, spiritismo e satanismo.
3.
L’irriverenza
religiosa si esprime nel
tentare Dio con parole o atti; nel sacrilegio, che profana persone o cose sacre
soprattutto l’Eucaristia.
4.
L’ateismo respinge
l’esistenza di Dio, fondandosi spesso su una falsa concezione dell’autonomia
umana.
5.
L’agnosticismo afferma
che nulla si può sapere su Dio, e comprende l’indifferentismo e pratico.
Il
secondo comandamento: “Non nominare il nome di Dio
invano”. Prescrive
il rispetto del
nome santo di Dio ed il silenzio adorante dinanzi al suo mistero.
Il nome santo di Dio lo si rispetta
invocandolo, benedicendolo, lodandolo, glorifi-candolo.
Contraddicono questi atteggiamenti peccando quindi.
·
La
bestemmia,
che è un oltraggio diretto alla santità di Dio;
·
il
sacrilegio,
che è un oltraggio indiretto alla santità del suo nome attraverso la mancanza
di riguardo verso luoghi, persone o oggetti sacri
·
Il falso giuramento:
il mancato adempimento di voti o
promesse fatte a Dio;
Il
terzo comandamento: “Ricordati di santificare le feste”.
Per noi cristiani il giorno santo è
divenuta la
Domenica, che è giorno del Signore (che si riposò nel settimo giorno), giorno
di Cristo
(che risuscitò da
morte), giorno della Chiesa (che si raduna per celebrare la risurrezione) e
giorno
dell’uomo (che si
riposa dal lavoro e dalle fatiche). Santificare
la Domenica (e le altre feste di
precetto) significa partecipare all’Eucaristia del Signore,
e astenersi anche da quelle attività che
impediscono di rendere
culto a Dio e turbano la letizia propria del giorno del Signore o la
necessaria
distensione della mente e del corpo. Sono consentite le attività legate a
necessità
familiari o a
servizi di grande utilità sociale, purché non creino abitudini pregiudizievoli
alla
santificazione
della domenica, alla vita di famiglia e alla salute. È da biasimare e
combattere la
riduzione della
Domenica a tempo dello “shopping”.
2. LA SECONDA TAVOLA
Il
quarto comandamento: onora tuo padre e tua madre.
Il quarto comandamento dà il “la” al
precetto
fondamentale dell’amore del prossimo. I genitori sono i primi nell’ordine di
importanza,
perché ad essi si
deve la vita, la trasmissione della fede e l’educazione. Onorare è più che
rispettare ed implica: una sincera e obbediente sottomissione (i rapporti con i
genitori non sono paritari);
il dovere di sovvenire i genitori quando si trovassero nel bisogno (materiale,
economico, morale e spirituale); di compatirne le eventuali infermità e miserie
come fecero i figli di Noè; il rendergli onore e buona fama dinanzi agli altri.
Il comandamento
sottintende i doveri verso ogni forma di autorità (insegnanti, governanti,
datori di lavoro, etc.) e quelli di ogni autorità verso i loro sottoposti, che
devono essere regolati dalla virtù della giustizia. I genitori hanno l’obbligo
gravissimo di educare alla fede ed
anche di dare una buona educazione ai figli, usando la carità ma non il buonismo,
ricorrendo, se necessario, all’uso dell’autorità.
Il
quinto comandamento: non uccidere. Il bene più sacro, dopo la famiglia,
è la vita umana che
è dono di Dio e la cui signoria spetta a Dio e a Dio solo.
Oltre che l’omicidio e il suicidio, nonché
ogni forma di
violenza fisica sul prossimo (che non sia per legittima difesa o in adempimento
di
una funzione
pubblica), questo comandamento proibisce:
1.
l’aborto (sotto pena di scomunica latae
sententiae) ,
2.
l’eutanasia, ma anche
3.
l’odio,
4.
la
vendetta,
5.
l’ira,
6.
l’offesa del prossimo con parole o gesti
7.
, l’abuso nei divertimenti (uso eccessivo di
alcool, abuso di cibi, di sigarette, di giochi) e tutto ciò che può
compromettere l’umana salute propria o altrui (uso di droga, guida spericolata,
etc.). Proibisce inoltre
8.
L’omicidio e il suicidio
9.
la ricerca scientifica che non rispetti
l’essere umano e le
10. manipolazioni
genetiche.
Il quinto comandamento
obbliga a promuovere la pace in tutti i modi possibili. L’uso della guerra è
lecito solo come
legittima difesa,
le cui condizioni vanno valutate con stretto rigore (c.d. dottrina della
guerra giusta: danno durevole, grave e certo causato
dall’aggressore; esperimento inutile di tutti i
mezzi pacifici; fondate condizioni di successo; che non si
provochino mali peggiori di quelli da eliminare, cf CCC
2309).
Il
sesto comandamento: non commettere atti impuri.
Questo comandamento è diretto alla
promozione ed alla
tutela della virtù della castità, che non è altro che la capacità di vivere la
sessualità in modo
autenticamente umano, integrandola all’interno della totalità della persona
umana (che è non
solo corpo, ma anche emotività, affettività e spiritualità) e nel suo essere
intrinsecamente
linguaggio di amore atto alla trasmissione della vita. Ad essere casti si
impara,
ricorrendo
fondamentalmente a tre mezzi: volontà ferma di non peccare, fuga dalle
occasioni,
ricorso ai
sacramenti e alla preghiera, specie mariana. La castità è una virtù unica, ma
che ha
diverse
espressioni e modalità di esercizio: celibato e verginità consacrata, persone
celibi o nubili,
fidanzati,
coniugati. I consacrati rinunciano all’esercizio fisico della sessualità
sublimandola in un
amore più grande,
che ha Dio come termine esclusivo e
tutti gli uomini come termini inclusivi.
Anche celibi ed i
nubili devono vivere la castità nella dimensione della continenza,
che ha però
come motivo
l’attesa di scoprire la propria vocazione o di trovare l’uomo e la donna della
propria
vita. I fidanzati
possono vivere una molto limitata forma di esercizio della sessualità umana,
che
sia però
polarizzata esclusivamente sulla
dimensione affettiva (coccole, abbracci, baci) senza
raggiungere quella
dei veri e propri contatti sessuali. La castità coniugale implica la fedeltà
reciproca,
l’indissolubilità del matrimonio, l’apertura alla vita nel compimento degli
atti coniugali,
l’uso ordinato e
lecito della sessualità umana.
Il vizio
della lussuria, che si oppone direttamente alla castità, si esplica nei seguenti atti:
·
uso della sessualità al di fuori della
relazione al fine di trarne piacere fisico (masturbazione),
·
unione
sessuale tra uomo e donna al di fuori del matrimonio, in forma parziale (petting:
conseguimento del piacere sessuale genitale reciproco senza l’atto sessuale) o
totale (fornicazione),
·
adulterio,
·
uso di
metodi contraccettivi contrari alla legge morale (pillola, condom, spirale,
sterilizzazione, coito interrotto),
·
rapporti sessuali contro natura,
·
prostituzione,
·
stupro,
·
incesto,
·
pornografia,
·
poligamia,
·
fecondazione artificiale e inseminazione,
·
omosessualità,
·
perversioni sessuali (pedofilia, voyeurismo,
sadismo, masochismo, bestialità),
·
divorzio, convivenze e matrimoni civili.
La materia del sesto comandamento è in se
stessa grave, per cui tutti i peccati compiuti con piena avvertenza e
deliberato consenso sono peccati mortali.
In
sintesi possiamo dire che Il quarto comandamento tutela la famiglia, il
quinto la
vita, il sesto la santità del corpo umano.
Il
settimo comandamento: non rubare tutela il corretto uso del denaro e delle
cose materiali ed il loro rispetto. Oltre alle cose note che si oppongono a
questo comandamento (rispetto dei beni altrui, alla cui mancanza è prescritto
il dovere di riparazione),
meritano menzione il rispetto dell’integrità della creazione (prescritto da
questo comandamento) insieme all’universale
destinazione dei
beni della terra, insegnata dalla dottrina sociale della Chiesa, che ci ricorda
che i
poveri esistono
non perché Dio non provvede loro, ma perché pochi ricchi rubano loro i beni che
Dio gli avrebbe
destinato…
L’ottavo
comandamento: non dire falsa testimonianza. Sottolinea il
valore della verità e della
veracità, che deve
essere sempre osservata nelle relazioni con gli altri e che si infrange con la
·
menzogna (anche “bianca” o scusatoria),
·
l’inganno,
·
il
giudizio temerario,
·
la
calunnia,
·
La maldicenza,
·
la
diffamazione,
·
la
violazione di un segreto,
·
la
falsa testimonianza processuale e, a livello pubblico, con
·
l’uso
distorto o fazioso dei mezzi di comunicazione sociale. Tutela valori come
la lealtà e la fedeltà, spe-cialmente alla parola data.
Dio è verità ed ogni offesa alla verità lo offende denotando una mancanza di
rettitudine morale. Impone il dovere di riparazione a chi, mentendo, lede la
buona fama altrui.
Il
nono comandamento: non desiderare la donna d’altri.
Questo comandamento promuove la
purificazione del
cuore, ovvero le sante virtù della purezza e del pudore. Gesù disse che chi
guarda una donna
per desiderarla ha già commesso adulterio e che se l’occhio ci scandalizza e
meglio cavarcelo,
piuttosto che andare all’inferno con due occhi.
Proibisce dunque
ü tutti
i desideri che si riferiscono alla sessualità genitale al di fuori del
matrimonio.
ü Proibisce
anche al pudore ed alla decenza, che oggi dilaga nei costumi e non solo nei
mass-media, ma anche nel modo di vestire di molti fedeli cattolici, donne in
primis, ma anche uomini.
ü Chi
veste in modo indecente è causa diretta di peccato per gli altri e ne
risponderà a Dio;
chi poi osa farlo
in Chiesa commette un grave sacrilegio.
Il
decimo comandamento: non desiderare la roba d’altri.
L’ultimo comandamento educa la
povertà del cuore
e il sano accontentarsi di ciò che si ha, come insegnava già san Giovanni
Battista (“contentatevi delle vostre paghe”).
Promuove anche l’amore ai poveri e le opere di misericordia in loro favore. Proibisce
v
l’invidia
v
la cupidigia dei beni altrui,
da cui derivano

Gesù ha sublimato
questo comandamento spingendolo all’eroismo: “A
chi prende il tuo, non richiederlo” (Lc 6,30).
3. I MEZZI DI SANTIFICAZIONE I
SACRAMENTI
. COSA È UN SACRAMENTO
Il
sacramento non è altro che un segno sensibile ed efficace della grazia.
In ogni sacramento si
trova infatti
questa duplice realtà:
un segno
sensibile (detto materia),
a cui è inscindibilmente unita
una grazia invisibile (che
ne costituisce l’effetto spirituale),
la quale viene trasmessa attraverso la celebrazione del rito fatta dal ministro a ciò abilitato in una data forma (le parole che si devono
pronunciare) e con
l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa. Il sacramento realizza sempre la
grazia
che significa
purché siano rispettate queste condizioni (materia corretta, forma esatta,
ministro
idoneo) e si
abbiano le dovute disposizioni per riceverlo, che variano da sacramento a
sacramento.
Cristo
è il sacramento primordiale.
L’unione tra il visibile e l’invisibile si attuò anzitutto nella
Persona storica di
Gesù Cristo. Di Lui si vedeva solo la natura umana assunta, ma non l’invisibile
Persona divina che
aveva assunto questa natura. La sua Umanità era inoltre strumento della
Divinità: Gesù
beneficava le persone e operava miracoli servendosi della sua Santissima
Umanità
(toccava gli occhi
dei ciechi, le orecchie dei sordi, la lingua dei muti, etc.; pronunciava delle
parole
che realizzavano
quello che diceva, tipo: “guarisci! Apriti! Vieni fuori!”, etc.). I Vangeli ci
informano che le
persone che toccavano materialmente Gesù venivano
guarite da morbi e malattie. San Leone Magno, a questo proposito, scrisse: “ciò che era visibile nel nostro Salvatore è passato
nei suoi sacramenti”.
La
Chiesa è il sacramento universale di
salvezza. La Chiesa è sacramento universale di
salvezza in quanto
la sua stessa esistenza, prima ancora che la celebrazione dei suoi sacramenti,
perpetua nel corso
del tempo e della storia quell’unione tra l’umano e il divino, tra il visibile
e
l’invisibile che
già si era verificata con l’incarnazione del Verbo. Chiunque entra in contatto
con la
Chiesa, dunque,
pur entrando in contatto con realtà sensibili (un cristiano, un rito, una
Chiesa, un
ministro) entra
sempre, misteriosamente, in contatto con ciò che della Chiesa è invisibile, ma
che
costituisce la sua
anima e la sua ragion d’essere: lo Spirito Santo. La Chiesa, inoltre, trasmette
questo Spirito di
cui è piena e che ha ricevuto a Pentecoste attraverso le celebrazioni rituali
dei
sette sacramenti.
I
sette sacramenti. Tre sacramenti servono a divenire e
rimanere cristiani (e per questo di
chiamano dell’iniziazione cristiana):



Due servono a
guarire dalle infermità:
I.
le malattie del corpo (Unzione degli infermi)
e
II.
le
malattie (molto più gravi) dell’anima
(Penitenza o Confessione) e per questo sono
denominati sacramenti della guarigione.
Due, infine, servono ad assumere delle funzioni stabili
nella Chiesa per
la sua diffusione e crescita:
I.
uno è al servizio della crescita e della
diffusione divino–spirituale della Chiesa (Ordine sacro),
II.
l’altro serve alla crescita ed alla diffusione
umano–naturale di essa (Matrimonio): per questo sono chiamati sacramenti per il
servizio della comunione e della missione.
I
SACRAMENTI DELL’INIZIAZIONE CRISTIANA
Battesimo.
È il sacramento con cui “vengono fatti (o creati)” i cristiani, secondo le
parole di
Gesù; una nuova
nascita (non naturale, ma soprannaturale) dall’acqua e dallo Spirito Santo. Gli
effetti del
Battesimo sono sostanzialmente tre:
I.
remissione di ogni colpa e peccato (originale
e attuale),
II.
trasmissione della vita divina (si diventa realmente
figli di Dio),
III.
incorporazione alla famiglia di Dio che è la
Chiesa.
Confermazione
o cresima. I due nomi designano: uno l’effetto della
Cresima (confermare e
rafforzare la
grazia già ricevuta nel Battesimo); l’altro la materia (si usa l’olio del
Crisma con cui si
unge la fronte). Con la Cresima si diviene capaci di
testimoniare la fede anche fino al martirio,
grazie
all’effusione dello Spirito Santo e dei suoi doni che aiutano nella sempre
maggiore
comprensione,
pratica e testimonianza della fede cristiana.
Eucaristia.
L’Eucaristia è il più grande miracolo realizzato da Gesù, che solo il genio di un
san
Tommaso e
l’indefettibilità del Magistero della Chiesa sono riusciti almeno in parte a
comprendere.
L’Eucaristia è un
unico sacramento, che però si dirama in tre aspetti essenziali, che sono anche
i
fini per cui Gesù ha istituito questo sacramento:
·
sacrificio,
·
presenza,
·
banchetto.
L’Eucaristia è anzitutto
il Sacrificio che
si celebra nella Messa, che non è altro che la ripresentazione sacramentale
e incruenta dell’unico Sacrificio
cruento che Gesù offrì al Padre sul Golgota,
Sacrificio i cui effetti indicibili di grazia vengono applicati ai presenti, a
tutta la Chiesa e ai defunti. L’Eucaristia è anche la presenza
viva, reale e sostanziale di Gesù fra di noi, che comincia con
le parole della consacrazione (“tran-sustanziazione”)
e permane nelle specie eucaristiche fino al perdurare di esse. Gesù è presente
in Corpo, Sangue, Anima e Divinità, così come è in cielo, con l’unica differenza
che occupa lo spazio non con le sue membra fisiche, ma tramite le sacre specie.
L’Eucaristia è infine il banchetto in cui si celebrano le nozze
tra Gesù e la Chiesa, che attraverso il gesto della comunione sacramentale,
diventa realmente una carne sola con i suoi fedeli.
3. I
SACRAMENTI DELLA GUARIGIONE
1) PENITENZA (O
RICONCILIAZIONE O CONFESSIONE)
a. I
nomi del sacramento designano alcuni dei suoi vari aspetti:
Penitenza denomina l’atteggiamento interiore
fondamentale che deve animare chi ricorre a questo sacramento, ovvero il
pentimento delle proprie colpe unito al proposito di cambiare vita,
atteggiamento che coincide con ciò che la Scrittura chiama conversione,
tant’è vero che questo sacramento, fin dall’antichità, è stato chiamato anche
il sacramento della conversione.
Riconciliazione indica
l’effetto fondamentale di questo sacramento, che è la riconciliazione con Dio:
Dio è sempre con noi ed è sempre fedele, siamo noi che, peccando, ci
allontaniamo da Lui rompendo i vincoli che a Lui ci uniscono; Dio, che ci ha
già tutti riconciliati nel sacrificio di Gesù, ci comunica la sua misericordia
e ci riaccoglie nelle sue braccia attraverso questo sacramento.
Confessione, infine, fa riferimento ad un altro gesto
del penitente, quello di confessare apertamente tutti i peccati di cui è
cosciente, esprimendo così, con questo gesto di umiltà, la sua volontà di riconciliarsi
con Dio e con la Chiesa.
Ministro
del sacramento è il Vescovo ed i sacerdoti da lui
autorizzati ad ascoltare le
confessioni.
Alcuni peccati gravi (es.: l’aborto) sono riservati al vescovo. La forma
sono le
parole
dell’assoluzione, la quasi materia sono
gli atti del penitente:
contrizione (dolore per
aver peccato
unitamente al proposito di non peccare più), confessione
(che per i peccati gravi
deve essere
dettagliata: numero delle cadute, materia della caduta e circostanze) e
soddisfazione
(esecuzione fedele della penitenza imposta dal confessore). Una
confessione è
tanto più
fruttuosa quanto meglio il penitente cura i suoi atti.
UNZIONE
DEGLI INFERMI
Questo sacramento,
come dice il nome stesso, non è necessariamente l’anticamera
della morte. Il
suo effetto principale, infatti, è quello di trasmettere al malato la grazia
necessaria per
affrontare santamente e serenamente la croce della sofferenza. Ad esso si
unisce
l’effetto
(accessorio) della remissione delle colpe (se il malato non può confessarsi) e
quello
(straordinario)
della guarigione del malato, se Dio così vuole.
I SACRAMENTI
PER IL SERVIZIO DELLA COMUNIONE E PER LA MISSIONE
1) MATRIMONIO
Gesù ha elevato l’unione tra un uomo e una
donna, già inscritta nella legge di natura,
alla dignità di
sacramento, ovvero, come vedremo, di segno visibile dell’amore di Gesù verso la
Chiesa e del
mistero dell’amore trinitario finalizzato alla mutua unione e alla trasmissione
della
vita naturale. Ministri
del sacramento sono gli sposi (non
il sacerdote, di cui si dice che “assiste
alle
nozze”), la forma sono le parole del
consenso matrimoniale (“Io,
N., accolgo te, N., come mio
sposo/a. Con la
grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore,
nella
salute e nella
malattia e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita”), la materia
sono un
individuo di sesso
maschile ed uno di sesso femminile, celibe e nubile, battezzati e cresimati.
Effetto del
sacramento del matrimonio è la grazia necessaria ad assumersi gli impegni e la
missione
della vocazione al matrimonio (mantenere l’unità e la fedeltà,
amarsi ed onorarsi
incondizionatamente
vicendevolmente, procreare ed educare cristianamente i figli).
2) ORDINE SACRO
a) Caratteri.
Mentre il sacramento del matrimonio ha come finalità e missione propria la
cooperazione con
Dio per la trasmissione della vita naturale,
il sacramento dell’ordine ha come
finalità e
missione quella di trasmettere la vita soprannaturale.
Il 2° (presbiterato) e il 3°
(episcopato) grado
del sacramento e dell’ordine sacro, infatti, hanno come caratteristica
principale quella
di amministrare i sacramenti, che sono i mezzi di santificazione dell’uomo
istituiti e voluti
da Gesù Cristo in persona. Materia del sacramento dell’ordine è un individuo
battezzato di
sesso maschile celibe (solo per il diaconato può essere anche coniugato), che
sia
stato ritenuto
idoneo dall’autorità ecclesiastica, dal momento che non esiste un diritto a
ricevere
questo sacramento.
Effetti di questo sacramento sono, rispettivamente, la configurazione a
Cristo servo
(diaconato), a Cristo capo e pastore (presbiterato),
a Cristo sommo sacerdote
(episcopato). Il
sacramento lascia il carattere indelebile ed è pertanto (come il Battesimo e la e la
7. IL PECCATO ORIGINALE E IL DISORDINE NELLA RELAZIONE UOMO-DONNA
Cresima)
irripetibile.
4. LA PREGHIERA CRISTIANA
COSA È LA PREGHIERA CRISTIANA
“La preghiera è l’elevazione della
mente a Dio o la domanda a Dio di beni convenienti”
(S. Giovanni Damasceno). “Una pia tensione del cuore verso Dio”
(S. Bernardo).
“L’orazione
non è altro che un intimo rapporto di amicizia, un frequente trattenimento, da
solo a solo, con Colui da cui sappiamo essere amati”
(S. Teresa di Gesù). “Per me la preghiera è uno slancio del
cuore, un semplice sguardo gettato verso il cielo, un grido di gratitudine e di
amore nella prova come nella gioia” (S.Teresa di Gesù bambino).
La
preghiera nella Bibbia. Innumerevoli sono i brani, soprattutto del
Nuovo Testamento, che
esortano
all’orazione. Solo per citarne qualcuno: “Non
angustiatevi per nulla ma in ogni necessità
esponete
a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti”
(Fil 4,6); “Voglio che gli uomini preghino,
dovunque si trovino, alzando al cielo mani pure senza ira e senza contese”
(1Tm 2,4); “Pregate
incessantemente” (1Ts 5,17); “Pregate
incessantemente con ogni sorta di preghiere e suppliche nello Spirito,
vigilando a questo scopo con ogni perseveranza e pregando per tutti i santi”
(Ef 6,18); “Perseverate
nella preghiera e vegliate in essa, rendendo grazie”
(Col 4,2); “Siate lieti nella speranza, forti nella
tribolazione, perseveranti nella preghiera” (Rm 12,12); “Ti
raccomando, dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche,
preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini”
(1Tm 2,1s); “Vi esorto fratelli, per il Signore
nostro Gesù Cristo e l’amore dello Spirito, a lottare con me nelle preghiere
che rivolgete per me a Dio” (Rm 15,30).
Gesù
ha pregato. È soprattutto il Vangelo di Luca a
rivelarlo. Gesù prega nei momenti decisivi
della sua
missione: durante il Battesimo riceve lo Spirito mentre era in preghiera (Lc
3,21); nella
Trasfigurazione,
poiché si trasfigura mentre stava pregando (Lc 9,28); prima di scegliere e
chiamare i Dodici (Lc 6,12); prima che Pietro lo riconosca come il Cristo di
Dio (Lc 9,18-20); per Pietro affinché non venisse meno la sua fede (Lc 22,32);
per Se stesso, prima della sua Passione, al Getsemani (Lc 22,41-44). Inoltre i
Vangeli ci ricordano che Egli spesso si ritirava in disparte, in
preghiera,
soprattutto di notte ma anche al mattino all’alba (Mc 1,35; 6,46; Lc 5,16). Di
Gesù si può
veramente dire che
viveva di preghiera, per
la preghiera, in continua
preghiera…
Gesù
ha esortato a pregare e insegnato a pregare. Tre parabole
sulla preghiera ci sono
riportate da Luca
(amico importuno, Lc 11,5-13; vedova importuna, Lc 18,1-8; fariseo e pubblicano
Lc 18,9-14). Gesù
esorta a pregare incessantemente (Lc
21,36) ed a conservare la vigilanza nella
preghiera
(parabole delle 10 vergini, Mt 25,1ss; Getsemani). Afferma l’onnipotenza della
preghiera
(Mc 11,24; Gv
14,13). Esorta a pregare in segreto, senza sprecare troppe parole (Mt 6,5-6).
Parla di tre dimensioni della preghiera (chiedete, cercate, bussate: Mt 7,7-11
e par.) ed infine, richiesto dagli apostoli, insegna loro la preghiera del
Pater (Lc 11,1ss.), che è divenuta la preghiera cristiana per antonomasia. La
preghiera di Gesù trova un’eco nella preghiera di Maria: abbiamo la sua
splendida
preghiera di lode nel Magnificat (Lc 1,46), l’intercessione alle nozze di Cana
(Gv 2,1-10) e la preghiera (di supplica) con gli apostoli nel Cenacolo prima
della Pentecoste (At 1,14).
2. DIMENSIONI
E MODALITÀ DELLA PREGHIERA
Adorazione.
Etimologicamente adorare significa “portare la mano alla bocca”, in
atteggiamento di
stupita contemplazione di qualcosa di immenso: si tace e si “ascolta” il
mistero
che si intravede.
Ma adorare significa anche “portare la bocca alla terra”, indicando così il
gesto di
prostrarsi fino a
toccare la terra con la bocca, riconoscendo l’infinita grandezza di Dio che
sovrasta
la nostra
bassezza, miseria e indegnità. È questo l’atteggiamento primo e fondamentale
della
preghiera
cristiana, che si esprime in atteggiamenti interiori
(umiltà profonda, silenzio pieno di
stupore, ascolto
attento e obbediente) ed esteriori (genuflettere,
inginocchiarsi, prostrarsi,
inchinarsi…).
Benedizione,
ringraziamento e lode. Sono aspetti strettamente connessi con
l’adorazione e di
origine biblica.
Si benedice Dio
perché Egli ci ha benedetti per primo, ricolmandoci di beni: la vita,
la salute, gli
affetti, i doni spirituali, i beni materiali, il lavoro, etc. Ma lo si benedice
anche nelle
circostanze
avverse e dolorose, che si riconoscono essere sotto il suo controllo e la sua
provvidenza.
Si ringrazia Dio (e lo si deve ringraziare) sia per i benefici
ricevuti personalmente sia per tutti i
doni che Dio ha
elargito all’umanità. “Bisogna lodare Dio.
Lodare è esprimere la propria
ammirazione e
nello stesso tempo il proprio amore, perché l’amore è inseparabilmente unito ad
un’ammirazione
senza riserve. Dunque lodare significa struggersi ai suoi piedi in parole di
ammirazione e
d’amore. Significa ripetergli che Egli è infinitamente perfetto, infinitamente
amabile,
infinitamente amato. Significa dirgli che Egli è buono e che l’amiamo” (Charles
de
Foucauld).
Domanda.
Con la preghiera di domanda ci si rivolge a Dio per chiedere tutto ciò di cui
si ha
personalmente
bisogno, certi di ottenerlo. È sempre efficace, anche quando sembra che Dio non
ci
dà esattamente ciò
che gli chiediamo. Trova la sua massima espressione nel Padre nostro.
Intercessione.
Simile alla preghiera di domanda, se ne differenzia perché qui si chiedono
grazie non per sé,
ma per gli altri. È molto gradita al Signore e sempre efficace. “È per la
preghiera
dei cristiani che
il mondo sta in piedi” (Aristide l’Apologeta).
Il
Padre nostro. Il Padre nostro è la preghiera “normativa”
per antonomasia, insegnataci da
Gesù in persona. È
una preghiera vocale di domanda e di intercessione (non viene detta solo per
sé, ma per tutti:
si dice Padre nostro,
non mio, si dice dacci non
dammi, il pane quotidiano)
L’Ave
Maria. È una preghiera vocale di lode, benedizione, domanda ed
intercessione, la cui
prima parte è di
origine biblica (sono le parole che l’Angelo rivolse a Maria e quelle con cui
la
salutò
Elisabetta), mentre la seconda è di origine ecclesiale. La lode e la
benedizione sono
contenute nella
prima parte, la domanda e l’intercessione nella seconda.
Il
Gloria. È una preghiera vocale che esprime
l’adorazione alla santissima Trinità, che si
riconosce, Sola,
come degna di gloria, ieri, oggi e sempre.
Le
altre preghiere vocali (devozioni, novene, etc.). Molte altre
preghiere vocali, soprattutto di
supplica ed
intercessione, sono di origine devozionale: tali sono le novene, le preghiere
di
intercessione
rivolte ai santi, etc. Se fatte con fede ed amore sono particolarmente efficaci
per
ottenere grazie,
purché non vengano moltiplicate e purché non si limiti la vita interiore
soltanto a
queste pratiche.
Molto importanti sono le preghiere all’angelo custode e
per i defunti (eterno
riposo).
Il
Santo Rosario. Le sue origini risalgono al Medio Evo. Il
santo Rosario, ci narra la tradizione,
fu rivelato dalla
Madonna a san Domenico, come mezzo eccellente per convertire gli eretici
(Albigesi). Caduto
in oblio dopo la morte di san Domenico, fu “riscoperto” e rilanciato nel XV
secolo da un altro
grande domenicano, il beato Alano della Rupe. Il Rosario è una preghiera
vocale, ma non
solo: per pregarlo bene occorre meditare i
misteri e, ad ogni ave Maria, gettare uno
sguardo
contemplativo sui singoli aspetti del mistero. Dopo la lettera Rosarium
Virginis Mariae di
Giovanni Paolo II
che ha arricchito il santo Rosario con la corona dei misteri luminosi, il santo
Rosario è, se
possibile, ancora più completo: con esso si tengono sempre presenti davanti ai
nostri
occhi tutti i
principali misteri della salvezza. È la preghiera “più completa”, perché
contiene in se
tutte le
dimensioni e tutti gli aspetti della preghiera cristiana. San Luigi Maria
Montfort (seguito da
S. Alfonso Maria
de’ Liguori) ha affermato che, dopo la santa Messa, nessuna preghiera ottiene
tante grazie
quanto il santo Rosario, specialmente se recitato in Chiesa o in comune, particolarmente
in famiglia.
L’adorazione
eucaristica. Pregare è, però, soprattutto parlare
a cuore a cuore con Dio. E noi
sappiamo che nelle
nostre Chiese, è presente Dio in persona, nelle specie eucaristiche custodite
nei Tabernacoli. Quando poi Gesù è pubblicamente esposto sugli altari, è il
momento in cui elargisce grazie a profusione. L’adorazione eucaristica esprime
l’essenza dell’orazione cristiana (che è sempre, anzitutto, un adorare) e in
essa si può vivere liberamente qualunque aspetto della
preghiera
cristiana: si può meditare, si può contemplare Gesù presente nell’eucaristia,
si può
parlare con Lui
nel raccoglimento, lodarlo, ringraziarlo, parlargli dei propri problemi,
effondergli i
propri affetti,
esporgli le proprie necessità. È uno dei vertici dell’orazione cristiana. Nel
rapporto a
cuore a cuore con
Gesù eucaristia c’è il tutto della preghiera cristiana.
3. LA FATICA DI PREGARE
La
preghiera è un combattimento con Dio. Le parabole della vedova
importuna e dell’amico
importuno,
sottolineano l’importanza della preghiera perseverante
ed insistente.
In questo senso
l’orazione può
essere descritta, “metaforicamente”, come un combattimento con
(non contro!)
Dio,
nel senso che Lui
subordina la concessione di alcune grazie alla perseveranza nell’orazione.
La
preghiera è un combattimento contro il diavolo.
La prima cosa che il diavolo attacca in un
cristiano è la
vita di orazione: nel senso che o fa in modo che una persona non intraprenda
mai il
cammino della
preghiera, oppure che lo abbandoni, oppure che “abbassi la guardia”. Non ci può
essere vita di
orazione senza questa coscienza, e quindi senza armarsi di una volontà ferma e
decisa a
percorrere questo viaggio senza fermarsi e senza scoraggiarsi, avendo queste
due regole: nella preghiera si deve sempre tendere al “di più” ed al “meglio”, mai
al “di meno” e al “peggio”.
La
preghiera è un combattimento con se stessi. Si trova tempo per
tutto meno che per pregare; ogni volta che si decide di pregare succede sempre
qualcosa; spesso non si ha voglia; si hanno cose urgenti da fare; si è stanchi.
Chi non combatte contro se stesso e questi mille pretesti, non pregherà mai. Ci
sono laici, sposati e con famiglie numerose,
che vanno a Messa tutti i giorni e pregano almeno
due ore al giorno… Segno che, se si vuole…
Si
impara a pregare pregando. “Certo, bisogna imparare a pregare. E a
pregare si impara pregando, come si impara a camminare camminando”
(S. Teresa di Gesù). Non ci sono tecniche o metodi
infallibili: la cosa principale è decidersi risolutamente
ad intraprendere il viaggio della preghiera. Ci
conduce lo Spirito Santo e si può sempre chiedere aiuto a un buon
maestro di spirito (per esempio un sacerdote).
4. I
DODICI ATTEGGIAMENTI DEL CORPO NELLA PREGHIERA
In
ginocchio (in posizione eretta e a mani giunte). Si
esprime il riconoscimento e la professione
della propria piccolezza
e nullità rispetto a Dio e l’adorazione della grandezza e sovranità di Dio.
Si manifesta il
desiderio di non fare nemmeno un passo al di fuori della legge di Dio.
Prostrati
con la faccia a terra. Si esprime la suprema adorazione,
ringraziamento, riparazione
ed intercessione,
e si manifesta l’attesa che la Grazia affluisca nell’anima e la rialzi
dall’abisso del
suo nulla.
Mani
giunte. Si esprime la remissione delle proprie mani
in quelle di Dio, in atto di stretta di
amore e l’offerta
a Dio delle anime affidate alle preghiere ed alla cura dell’orante; si
manifesta il
desiderio e la
volontà di stringersi alla volontà di Dio, alla Sua Gloria ed a Lui sommamente
amato, e di non
volersi occupare di altro che del suo servizio, specialmente nell’orazione, non
volendo fare per
nessun motivo atti di resistenza a Dio.
Braccia
allargate a croce. Si esprime l’abbandono totale alla volontà
di Dio e si manifesta
l’unione interna
ed esterna al sacrificio di Gesù sulla croce.
Mani
alzate verso l’alto (come l’orante delle catacombe). Esprime
l’offerta di sé e del mondo a
Dio, al fine di
supplicarLo, di applicarvi il Suo merito e la Sua azione.
Palme
rivolte verso l’alto. Esprime l’ufficio e lo spirito sacerdotale
di elevare ed offrire tutto il
mondo ed il creato
a Dio Trinità, che ne è l’origine ed il fine ultimo.
Capo
chino e dita incrociate. Esprime l’interna riverenza
alla Maestà divina e l’interna penitenza
dei peccati
commessi. Manifesta l’intenzione di offrire il capo al boia per ogni tipo di
morte
affrontata in
difesa della fede ed in obbedienza a Dio e il desiderio di reclinarlo sul petto
stesso di
Gesù per ricevere
la Sua carezza.
Occhi
chiusi. Esprime la chiusura dei sensi ad ogni
realtà creata e manifesta la supplica di
ricevere
l’apertura dell’intelletto a tutte le verità divine e di essere purificati da
tutte le distrazioni.
Occhi
rivolti al cielo. Esprime l’affetto, l’offerta ed il
desiderio delle tre virtù teologali e
manifesta la
volontà di rafforzare la rettitudine di intenzione. Esprime anche la volontà di
mettersi
alla presenza di
Dio ed il desiderio di giungere all’unione (mistica e poi reale) con Lui.
In
piedi. Esprime la prontezza ad obbedire ad ogni cenno della volontà di
Dio; la disponibilità
e la prontezza ad
affrontare ogni battaglia, lavoro e fatica per il Suo Regno; la volontà di fare
la
guardia ai Suoi
altari e la sentinella in difesa delle Sue anime.
Preghiera
vocale ad alta voce. Esprime la proclamazione fiera della Sua
legge e dei Suoi diritti
divini e la
professione pubblica, al cospetto del cielo e della terra, dell’amore verso
Dio. Manifesta
la volontà ferma
di scuotere l’animo dal sonno della morte e della tiepidezza.
Preghiera
vocale sottovoce. Esprime a Dio la propria confusione per le
tante infedeltà nei Suoi
confronti. Manifesta
il desiderio di attirare maggiormente l’attenzione di Dio e la volontà di usare
il segreto
confidenziale con Lui, nella speranza e nell’attesa che anch’Egli voglia
rivolgere
confidenze
personali per accendere l’amore.
5. LA TRINITA’ FONTE E MODELLO DELL’AMORE SPONSALE
1. IN ASCOLTO DELLA PAROLA
Carissimi, amiamoci gli uni gli altri,
perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio.
Chi non ama non ha conosciuto Dio,
perché Dio è amore. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma
è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione
per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci
gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri,
Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi. Dio è amore; chi sta
nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui.( Gv 4,7- 16)
Amare
è dare totalmente se
stessi ad un altro…
San Giovanni definisce per ben due volte Dio
come amore. Ora,
se Dio, pur essendo unico, fosse solo,
quello che san Giovanni dice non potrebbe essere vero (Dio potrebbe anche
essere Dio, ma non sarebbe amore, perché per amare, che è dare se stessi ad un
altro, c’è bisogno necessariamente di un tu). Secondo Giovanni, invece, l’amore
è l’essenza stessa di Dio. Che significa? Che è proprio della natura di Dio,
che fa parte di essa, “l’esigenza” di amare: ecco dunque che il Padre, da tutta
l’eternità, sotto la spinta di quell’impeto infinito d’amore che Egli è, per avere
Qualcuno su cui riversare quest’onda incontenibile, genera da Se Stesso (“dalla
sua sostanza” diciamo nel Credo), un “Altro
Se Stesso”: Questi, venendo dal Padre ed essendo
generato per amore, è necessariamente uguale
a Lui: anche il Figlio, dunque, vive amando, vive per amare, ha come natura,
come DNA intrinseco, l’amore… e quindi risponde al dono totale che il Padre fa
a Lui , con il dono totale di se stesso al Padre . Lo Spirito Santo altro non è
che l’Amore essenziale e personale sgorgante dalla duplice relazione d’amore
del Padre verso il Figlio e del Figlio verso il Padre. È per questo che Dio è uno e trino: perché è
amore. Unica è infatti la natura che accomuna i Tre, ed è l’amore; e
quest’unica natura dà vita alle tre Persone divine, in modo tale che il loro
essere è un essere totalmente per l’altro;
infatti se, per assurdo, eliminassimo uno dei Tre, tutta la Trinità svanirebbe…
Dio amore, dunque, o è trino oppure semplicemente non è proprio…
La
Trinità è dunque la fonte e il modello supremo dell’amore, che ha questi
caratteri:
Totale.
Se si ama, si ama totalmente; oppure non si ama... Si tratta di un essere tutto
per l’altro,
si vive per
l’altro, ci si dona completamente e senza riserve all’altro.
Incondizionato.
Il “sì” all’altro è pieno e senza condizioni: Dio Padre non genera il Figlio
per
esserne amato, ma
per amarlo. Se, sempre per assurdo, il Figlio non lo amasse (è proprio un
assurdo…!!!), il
Padre lo amerebbe ugualmente.
Esclusivo.
Il modo con cui i Tre si amano vicendevolmente è diverso da come Essi amano le
creature. Infatti
l’amore con cui Dio mi ama mi rende simile a Lui (suo figlio adottivo), ma non
un
vero e proprio Dio
come la Seconda Persona della Santissima Trinità. Questo carattere della
totalità e dell’essere totalmente incondizionato riguarda i rapporti tra le persone
divine; l’amore verso le creature è simile, ma non uguale…
Indissolubile.
Se, per assurdo, cessasse il vincolo di amore tra i Tre, come abbiamo visto,
Dio
stesso (tutte e
Tre le Persone) cesserebbero di essere. Si tratta pertanto di un amore
assolutamente indissolubile.
1
“Tu, o Padre, mi hai amato, prima della
creazione del mondo” (Gv 17,24).
2
“Bisogna che il mondo sappia che io amo il
Padre e faccio tutto ciò che il Padre mi ha ordinato” (Gv
14,31).
Eterno.
La nostra mente temporale non ha il pensiero dell’eterno… Ma noi dobbiamo
pensare
che la generazione
del Figlio è eterna… Il Padre non è cioè stato nemmeno un milionesimo di
istante “solo”… Il
fatto che Lui da sempre è, significa che il Figlio da sempre è… La Trinità è
sempre stata, è, e
sempre sarà…
Fecondo.
L’amore tra il Padre e il Figlio, abbiamo visto, dà vita alla Terza Persona, la
fa
procedere
all’interno della vita divina; ma l’amore di Dio è fecondo anche all’esterno,
perché ha
mosso Lui,
liberamente, a creare l’universo, solo per amore, semplicemente per riversare
il suo
amore su creature
esterne a sé perché ne potessero godere e gioirne.
Essenziale.
Come già visto l’amore coincide con l’essenza di Dio, di modo che se Dio non
fosse
amore, non sarebbe
proprio… è più facile che un albero voli piuttosto che Dio non ami…
6. LA CREAZIONE DELL’UOMO A IMMAGINE DELLA TRINITÀ
I primi due
capitoli del libro della Genesi descrivono la Creazione dell’universo, della
terra e
dell’uomo.
Sappiamo che un certo scientismo e
laicismo ha
liquidato questi testi bollandoli come
favole, dinanzi
alla scienza… in realtà ciò, come vedremo, è tutto da dimostrare…
I primi due
capitoli del libro della Genesi raccontano, in
forma allegorica, dei fatti veri
realmente
accaduti
all’inizio della storia del cosmo e dell’umanità… Non sono dunque favole, ma
nemmeno
la cronistoria
(oppure, se si preferisce, la telecronaca) di come sono andate le cose…
raccontano che cosa è
avvenuto e perché è avvenuto (il
senso della creazione), non come né
quando (cose
di cui si occupa e si deve occupare la scienza)…
Il capitolo 1
della Genesi descrive la creazione dell’universo in 7
giorni… Questo numero, nella
Scrittura, indica
la perfezione:
non si vuole dunque dire che l’universo è stato creato in sette giorni
numerici, ma che
l’universo, in quanto creato da Dio, è una realtà perfetta.
Uno scienziato ha detto:
è più facile che
un gatto impazzito, saltando su un pianoforte, riesca a suonare la nona
sinfonia di
Beethoven
piuttosto che l’universo, per la perfezione straordinaria che possiede, si sia
fatto da
solo… La prima
cosa che Dio crea, con la sua parola, è la luce,
specificando che originariamente c’era una terra informe avvolta dalle tenebre
(Gen 1,1-3). La scienza ci dice che non prima di 13,7
miliardi di anni
fa (forse dopo) sarebbe avvenuto il “Big bang”, ovvero un’immensa esplosione di
luce
sulla massa informe primordiale, dalla cui frammentazione e
sistematizzazione progressiva
(successive
separazioni…) sarebbe sorto l’universo…
L’universo si è
dunque formato per successive separazioni… ma il libro della Genesi descrive
la formazione del
firmamento proprio per separazione… (Gen 1,6).
Sappiamo che la
terra e la vita sulla terra ha avuto questa sequenza: dapprima la terra era
avvolta dalle acque,
poi emerse la terra ferma; le prime forme di esseri viventi furono i vegetali,
poi nacquero gli
esseri viventi, le cui prime forme furono i protozoi (nati nelle acque); l’uomo
fu
l’ultimo tassello
a comparire sul pianeta terra… La Genesi, sorprendentemente,
descrive esattamente questa sequenza: la terra emerge dalle acque (Gen 1,9),
poi Dio crea le erbe (Gen 1,11), ed infine, i primi esseri viventi nelle acque
(Gen 1,20); poi gli uccelli del cielo, gli animali terrestri ed infine, ultimo,
l’uomo. Ricordare che il Libro della Genesi si riteneva scritto da Mosè (XIII
sec. A. C.); oggi gli esegeti più progressisti lo datano al massimo intorno al
VII sec. A.C.. Ma di tutte le cose, che noi ora sappiamo dalla scienza, non si
poteva sapere assolutamente nulla… Una strana coincidenza…o no?
1. IN ASCOLTO DELLA PAROLA:
LA CREAZIONE DELL’UOMO E DELLA DONNA
Gen 1,26-28.31
(primo racconto): il fatto.
E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra
immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli
uccelli del cielo, sul bestiame, su
tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”.
Dio creò
l’uomo a sua immagine; a immagine di
Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro:
“Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite
la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del
cielo e su ogni essere vivente, che
striscia sulla terra”. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto
buona. E fu sera e fu mattina: sesto
giorno.
Facciamo l’uomo a
nostra immagine,
e a nostra somiglianza…
Se si legge il primo capitolo
della Genesi, per
ogni cosa creata si parla dell’azione di Dio al singolare:
Dio creò, Dio fece,
etc.
All’improvviso,
quando si arriva all’uomo si passa al plurale:
facciamo…
e, solo per l’uomo, si parla
di immagine
e somiglianza di
Dio (al plurale: nostra immagine e nostra somiglianza)…
Maschio
e femmina: per vedere l’immagine di Dio Trinità
nell’uomo, bisogna dunque
considerare non
solo, non tanto e non principalmente il singolo (uomo o donna che sia), ma la
coppia: il facciamo
è riferito alla creazione maschio e
femmina…
L’uomo
è il re del creato e collaboratore di Dio nella creazione.
Compito dell’uomo e della
donna è dominare e
soggiogare la terra ed essere fecondi: significa che sono i re del pianeta
terra
ed i collaboratori
dell’opera creativa di Dio…
Cosa
molto buona… per tutte le cose create si dice che Dio
aveva fatto cosa buona… solo per
l’uomo e per la
donna si dice che era cosa molto buona….
Gen 2,7-8.18-25
(secondo racconto): il senso del fatto
Il Signore Dio plasmò l’uomo con
polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne
un essere vivente. Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e
vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Poi il Signore Dio disse: “Non è bene che
l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”. Allora il Signore
Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del
cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque
modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere
il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli
del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l’uomo non trovò un aiuto che gli
fosse simile. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si
addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il
Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la
condusse all’uomo. Allora l’uomo disse:
“Questa volta essa è carne dalla mia
carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta”.
Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i
due saranno una sola carne. Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma
non ne provavano vergogna.
Dio
crea Adamo dal nulla. Con polvere del suolo (il testo ebraico
dice fango, cioè
terra mista a
acqua), in cui soffia
un alito di vita… Significa che l’uomo in parte viene dalla terra
(noi siamo,
materialmente,
acqua e materia organica), ma c’è un qualcosa in lui che viene direttamente da
Dio
(l’anima o lo
spirito). Infatti Adamo significa “tratto dalla terra” (in ebraico: “Adam” a Adamo,
“Adamà” a “terra”);
“spirito” in ebraico si dice con una parola (ruàh) che significa tre cose:
“soffio” (è
l’immagine usata dalla Genesi),
“vento” e “spirito” (inteso come parte
razionale – immateriale dell’uomo).
L’uomo
non trova nel creato un aiuto che
gli fosse simile: allora Dio crea la donna.
Non però
dal nulla, ma
dalla costola di Adamo: cioè la trae
da Adamo, di modo che la donna è della stessa
sostanza di Adamo,
simile a lui. La donna è stata tratta da Adamo (in ebraico: “uomo” è “ish”,
donna è “ishà”…).
La sua funzione è di essere “un aiuto”.
Per
questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola.
Tratti l’uno
dall’altro, sono
anche l’uno per l’altro: Adamo ama Eva con tutto se stesso e ne è riamato…
Diventano una cosa
e dal loro “essere uno” nasce Abele…
ALCUNE
CONSEGUENZE
Tra
uomo e donna sussiste piena e perfetta uguaglianza
di dignità,
ma alterità e diversità di
ruoli
e funzioni. L’immagine della donna “tolta” dall’uomo,
come vedremo, è confermata anche
dalle recenti
acquisizioni della psicologia generale….
La
creazione uomo – donna (Adamo dal nulla, Eva da Adamo, Abele
dall’amore di Adamo verso Eva e di Eva verso Adamo)
riproduce la sequenza della vita trinitaria: il
Padre è rappresentato da Adamo (amore sorgivo),
il Figlio da Eva (amore recettivo),
lo Spirito Santo da Abele (amore sponsale–reciproco).
L’amore
a cui sono chiamati uomo e donna (essere una carne sola partecipando all’opera
creativa di Dio
nella fecondità) è dunque modellato su quello trinitario, ed è pertanto:
Totale.
Diventando una carne sola si
raggiunge la perfezione dell’unione: non solo un solo
cuore e un solo
spirito, ma anche una carne sola. Totalmente uno…
Incondizionato.
Il “sì” dell’uno all’altra e dell’altra all’uno, per essere autentico, deve
essere
senza condizioni:
io sono tutto per te, senza ma e senza se…
Esclusivo.
Perché l’amore tra uomo e donna sia realmente totale
deve essere esclusivo:
“io sono
chiamato
ad amare tutti, ma non tutti come amo te”. Senza il
carattere dell’esclusiva, l’amore sponsale non sarebbe veramente totale…
Vedremo che è da questo carattere che derivano tutte le norme morali in tema di
rapporti di coppia…
Indissolubile.
Si abbandonano – nel senso di “lasciare” – il padre e la madre perché viene a
costituirsi un
vincolo ancora più forte di quello che ci lega alle nostre figure genitoriali…
Un
vincolo che, una
volta sigillato dal segno dell’essere divenuti “una carne sola”, non può essere
più
sciolto…
Destinato
a durare almeno per tutta la vita terrena… Mentre Dio ha
come dimensione
l’eterno, l’uomo
ha come dimensione il tempo… se dunque il suo amore è eterno, quello che ha
inscritto
nell’uomo e della donna deve essere “eterno nel tempo”…. cioè sussistente
almeno sino
alla morte… ma è
meglio (anche se qui, come vedremo la prossima volta, cominciano i problemi
sorti col peccato)
che si apra alla dimensione dell’immortalità: “io sono tuo/a, solo tuo/a,
tutto/a
tuo/a, e per
sempre”.
Fecondo.
Dalla realizzazione del segno sponsale dell’amore che è l’essere una carne
sola, per
volontà di Dio
inscritta nella nostra natura, nasce la vita… La vita è naturalmente
unita, con vincolo
indissolubile,
all’amore: questi due misteri si trovano nell’uomo uniti come lo sono in Dio
(“la vita
è l’amore e
l’amore è la vita”).
Essenziale.
Questa tensione dell’uomo verso la donna e della donna verso l’uomo fa parte
del
nostro “dna”
psicologico: in essa è garantita, come nelle tre Persone divine l’uguaglianza
(entrambi
sono di natura
umana) nella diversità (il maschio non è la femmina così come il Figlio non è
il
Padre). Ecco
perché sorge amore umanamente autentico e divinamente fondato (e benedetto)
solo tra un uomo e una donna…
Il libro della
Genesi descrive la creazione dell’uomo come opera perfetta,
che poi è stata
rovinata dalla colpa,
fino a produrre un progressivo vero e proprio imbarbarimento, involuzione e
sommo degrado
dell’uomo, fino al punto che la Genesi afferma, antropomorficamente, che Dio si
sarebbe pentito di
aver creato l’uomo.
Dopo il peccato
originale, infatti, si susseguono due capitoli che sono una rassegna della
progressiva
perversione dell’uomo, comprendente addirittura le unioni bestiali. Quello che
la
scienza ha dunque
scoperto sulla progressiva evoluzione dell’uomo non è negato dalla
Rivelazione, ma
corretto: non semplicemente un processo evolutivo che va dall’imperfetto
(ominide) al
perfetto (uomo), ma un processo involutivo – evolutivo che dal perfetto (Adamo
–
Eva) degrada fino
a raggiungere l’imperfetto – bestiale (ominide), fenomeno che culmina nel
diluvio universale
(capitolo settimo della Genesi) e da cui parte un nuovo inizio che culmina in
un’umanità nuova
(evoluzione).
Alcuni
dati scientifici. I fossili appartenenti agli antenati
dell’uomo, ripartiti fra i generi
Australopithecus e
Homo, risalgono al massimo a circa 5 milioni di anni fa: della storia precedente sappiamo perciò molto poco.
Gran parte della capacità umana di realizzare e adoperare utensili e altri oggetti dipende dalle grandi dimensioni
e dalla complessità del cervello umano. La maggior parte degli esseri umani ha attualmente una
scatola cranica di volume compreso tra i 1300 e i 1500cm3. Nel corso dell’evoluzione umana il volume
del cervello si è più che triplicato. Questo incremento può essere messo in relazione a
cambiamenti di tipo comportamentale; è probabile quindi che l’incremento di volume del
cervello umano sia dovuto all’elaborazione di nuovi e più complessi strumenti e all’acquisizione di
quelle competenze che consentirono ai nostri antenati di adattarsi ad ambienti sempre più vari. Alcune
date: Australopithecus: 3-4 milioni di anni fa; Homo erectus: 750.000 anni fa;
Homo sapiens:
40.000 anni fa. È stato però recentemente ritrovato un
fossile,
appartenente ad un’epoca di poco più recente (24.000 anni fa) di quella
dell’uomo di Neanderthal (100.000-40.000 anni fa) che presenta una
conformazione del cranio praticamente
identica a quella
attuale: è un fatto che ha creato parecchio sconcerto nella comunità
scientifica…
I
doni dell’uomo creato in stato di perfezione da Dio secondo la Rivelazione.
Dio creò l’uomo
perfetto, fornendogli tre generi di doni:
·
Soprannaturali: (dati gratuitamente da Dio):
pienezza della grazia (amicizia con Dio) e scienza infusa (capacità di
conoscere alcune cose in modo soprannaturale
·
Preternaturali: : immortalità (non soggezione
alla morte intesa come violenta separazione dell’anima dal corpo),
impassibilità (non soggezione dell’uomo alle malattie), integrità delle facoltà
(soggezione dell’anima a Dio e pieno dominio delle facoltà superiori sulle passioni);
Infine
·
Doni naturali: facoltà spirituali (intelletto
penetrante, volontà forte, memoria viva). L’uomo si trovava anche in stato di
piena armonia col creato che era a lui soggetto. I rapporti tra uomo e donna
erano eccellenti, caratterizzati da profonda comunione e piena sintonia.
IN ASCOLTO DELLA PAROLA:
IL PECCATO ORIGINALE E LE SUE
CONSEGUENZE
3
Gen 6,5-7: “Il Signore vide che la malvagità
degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno
concepito
dal loro cuore non era altro che male. E il Signore si pentì di aver fatto
l’uomo sulla terra e se ne
addolorò
in cuor suo. Il Signore disse: “Sterminerò dalla terra l’uomo che ho creato:
con l’uomo anche il
bestiame
e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito d’averli fatti”.
Il serpente era la più astuta di tutte
le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: “È vero che Dio
ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?”. Rispose la donna
al serpente: “Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma
del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete
mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”. Ma il serpente disse
alla donna: “Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si
aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il
male”. Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi
e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi
ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si
aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi;
intrecciarono foglie di fico e se ne
fecero cinture. Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla
brezza del giorno e l’uomo con sua
moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. Ma il Signore
Dio chiamò l’uomo e gli disse: “Dove sei?”. Rispose: “Ho udito il tuo passo nel
giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto”. Riprese: “Chi
ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse
mangiato dell’albero di cui ti avevo
comandato di non mangiare?”. Rispose l’uomo: “La donna che tu mi hai
posta accanto mi ha dato dell’albero e
io ne ho mangiato”. Il Signore Dio disse alla donna: “Che hai fatto?”.
Rispose la donna: “Il serpente mi ha
ingannata e io ho mangiato”. Allora il Signore Dio disse alla donna:
“Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue
gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto,
ma egli ti dominerà”. All’uomo disse:
“Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero, di
cui ti avevo comandato: Non ne devi
mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il
cibo per tutti i giorni della tua
vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre. Con il sudore
del tuo volto mangerai il pane; finché
tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in
polvere tornerai!”.
1. COSA FU IL PECCATO ORIGINALE
Fondamentalmente un dubitare dell’amore di Dio…
Il serpente, fondamentalmente, insinua
alla donna il
dubbio che Dio avesse posto dei limiti all’uomo per gelosia verso di lui, per
timore di
avere un rivale.
Notare la tecnica seduttiva del diavolo, che parte dalla primitiva bugia (“è vero
che non potete
mangiare nulla?”) e si sviluppa nelle successive menzogne (“non morirete affatto….diventerete
come Dio”). Eva, purtroppo, credette a queste cose.
L’albero
della scienza del bene e del male. Il significato allegorico – simbolico del
“frutto
proibito” lo si
comprende riflettendo sul fatto che esso “pendeva” dall’albero della conoscenza
del
bene e del male:
non era altro che il limite, posto da Dio, tra bene e male. L’uomo, rimanendo
unito
a Dio, avrebbe
esercitato la sua libertà solo come scelta tra molti beni possibili; oppure
poteva
scegliere la via
di conoscere, per esperienza diretta, il male (che è un “avere di meno”, non un
“avere di più”),
ergendosi poi a giudice autonomo di esso. Ma l’uomo non ha un’intelligenza così
grande da poter
fare questo… Purtroppo però Eva ritenne di averla, e persuase a fare
altrettanto
anche Adamo.
Un
peccato complesso. Il testo della Genesi ci dice che nel
peccato originale ci furono molte
colpe: la disobbedienza formale a Dio (che
aveva proibito all’uomo di mangiare dell’albero della
conoscenza del
bene e del male), la superbia (diventare come Dio), la sfiducia nell’amore di Dio
(pensare che Dio è
geloso dell’uomo e teme che questi possa diventare grande come lui), l’avarizia (ovvero il desiderio
disordinato di un bene illecito) ed infine qualcosa che ha a che fare con la gola, la lussuria o comunque con qualche illecito godimento
sensibile (il gesto del mangiare il frutto, le allusioni varie all’essere nudi
ed alla successiva vergogna, segno del
comparire della
concupiscenza e del pudore, prima estranei).
3. CONSEGUENZE DEL PECCATO NEL RAPPORTO CON DIO, COL
CREATO E CON SE STESSI
Adamo
ed Eva hanno paura di Dio. Prima ci parlavano a tu per tu nel
giardino… ora si
nascondono da Lui;
non lo percepiscono più come un Padre, ma come un nemico…
Si
accorgono di essere nudi. Due volte il testo della Genesi fa
riferimento alla nudità: una volta
la vergogna di essere nudi davanti a Dio, l’altra la
vergogna di essere nudi l’uno dinanzi
all’altra.
Essere nudi
dinanzi a Dio vuol dire sperimentare la tragica verità della perdita dei doni
che Dio
aveva loro fatto:
avevano perso la grazia e l’amicizia con Lui, nonché la piena, spontanea e
gioiosa
sottomissione a
Lui.
Dovranno
cominciare a conoscere il dolore. Per l’uomo ciò è espresso dal lavorare con
fatica e
con sudore, per la
donna dal partorire con dolore: non sono più immuni dalla sofferenza…
Conosceranno
la morte. Avendo separato la loro anima da Dio,
conosceranno un’altra
innaturale
separazione: quella dell’anima dal corpo, che coincide con la tragedia della
morte…
Il
creato si rivolta contro di loro… Il creato, su cui l’uomo era re (con tanto
di potere di
imporre il nome a
tutte le creature) ora si rivolta: la terra produce spine e cardi e si piegherà
al
servizio dell’uomo
solo a prezzo di fatiche, dolori e sudore…
4. CONSEGUENZE NEL RAPPORTO UOMO –
DONNA
Si
accorsero di essere nudi. Questa nudità è diversa da quella provata
davanti a Dio: è il
risveglio della
concupiscenza, è l’introdursi della malizia e della sensualità macchiata di
libidine
(desiderio
egoistico di possesso) nel rapporto tra uomo e donna… L’uomo comincia a vedere
la
donna come femmina
e la donna vede l’uomo come maschio…
(Sembra di vedere il ritratto della
nostra società
contemporanea…!)
L’uomo
accusa la donna di essere stata la causa del suo peccato.
In luogo dell’amore, del
vedere l’altro
come un aiuto (“ecco un aiuto simile a me!” disse Adamo dinanzi alla donna), si
percepisce l’altro
come un nemico, come la causa di tutti i propri guai, scaricando anche le colpe
proprie
sull’altro…
Disordini
relazionali: verso di lui sarà il tuo istinto, ma
egli ti dominerà. Le passioni
(l’istinto)
cominciano a esercitare il predominio sull’intelletto e sulla volontà: si tende
all’altro non
perché “gli voglio
bene”, ma perché “mi piace”. All’istinto fa da contraltare il tentativo di
dominazione: non
più rispetto, accoglienza, servizio, ma disprezzo, sufficienza e dominio…
Pensare a tanti
secoli di storia ed anche ad alcuni bassi luoghi comuni tuttora in
circolazione…
Sofferenze
e difficoltà nel procreare. Il trasmettere la vita, che dovrebbe essere
gioia e onore
per l’uomo e per
la donna, in quanto cooperazione all’opera di Dio, si tinge delle fosche linee
del
dolore: dare la
vita costa lacrime e sofferenza… Si vede dunque come la colpa d’origine ha
intaccato, profondamente, le due caratteristiche
fondamentali del rapporto uomo – donna: l’amore e la vita. Questa ferita,
che Gesù è venuto a guarire, non è però mai completamente cicatrizzata e chiusa: ignorarla o minimizzarla significa
precludersi la capacità di comprendere alcune “mine vaganti” perpetue nel
rapporto tra uomo e donna, di cui occorre tener conto e che bisogna,costantemente, lavorare per
disattivare…
8. LA PREDICAZIONE DI GESÙ SUL MATRIMONIO E SUL RAPPORTO TRA
UOMO E DONNA
ALCUNE
PREMESSE
Abbiamo visto nel
capitolo precedenti gli enormi problemi causati dal peccato nella relazione
tra uomo e donna
e, più in generale, nella vita dell’uomo e nel suo rapporto con se stesso, con
le
cose, col lavoro e
col creato. Abbiamo anche visto che ciò determinò una progressiva degradazione dell’uomo,
culminata nella grande purificazione del diluvio universale, che segnò un nuovo
inizio. L’umanità, tuttavia, non tardò a regredire nuovamente sul piano morale:
l’episodio della torre di Babele (Gen 11) ne rappresenta un esempio
emblematico.
A questo punto
comincia la storia di salvezza che
Dio intesse con l’uomo. Chiama Abramo (Gen
12), un nomade
dell’estremo oriente (Ur, attuale Iraq) e dalla sua discendenza forma quello
che
sarebbe stato il
suo popolo (Israele), che ha come capostipiti i 12 figli di Giacobbe (nipote di
Abramo, in quanto
figlio di Isacco, a sua volta figlio di Abramo). A un certo punto, per una
serie di
vicissitudini,
tutti i figli di Giacobbe scendono in Egitto e cadono in una schiavitù durata
circa 500
anni. Dio suscita
Mosè come liberatore, con il compito di far uscire dall’Egitto il suo popolo e
condurlo alla
terra promessa (l’attuale Palestina). Cosa che Mosè realizza dopo 40 anni di
peregrinazione nel
deserto. Prima dell’arrivo nella terra promessa Dio dà al suo popolo una legge,
tra cui il Decalogo (i 10 comandamenti), corredati da una serie di prescrizioni
accessorie, contenute nel 5° libro del Pentateuco che si chiama Deuteronomio.
In esso, al capitolo 24, c’è anche una norma che consente il divorzio: “Quando
un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avviene che
essa non trovi grazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualche cosa
di vergognoso, scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e
la mandi via dalla casa. Se essa, uscita dalla casa di lui, va e diventa moglie
di un altro marito e questi la prende in odio, scrive per lei un libello di ripudio,
glielo consegna in mano e la manda via dalla casa o se quest’altro marito, che
l’aveva presa per moglie, muore, il primo marito, che l’aveva rinviata, non
potrà riprenderla per moglie, dopo che essa è stata contaminata, perché sarebbe
abominio agli occhi del Signore; tu non renderai colpevole di peccato il paese
che il Signore tuo Dio sta per darti in eredità” (Dt 24,1-5).
In seguito Israele
si costituirà politicamente come un regno e stabilizzerà la sua vita religiosa
con la costruzione
del Tempio di Gerusalemme e tutta la legislazione sul culto. La storia di
Israele e del suo rapporto con Dio è storia di infedeltà dell’uomo e di
continua misericordia e fedeltà di Dio.
I profeti
richiamano continuamente Israele all’obbedienza e promettono un inviato di Dio
come
colui che li
avrebbe resi finalmente capaci di ricambiare pienamente l’amore sponsale con
cui Dio
ha sempre amato il
suo popolo. È in questo contesto che si situa la promessa del Messia, che si è
compiuta con
l’invio di Gesù, presentatosi al mondo come Messia e, addirittura, come figlio
naturale
di Dio, seconda Persona della Santissima Trinità divenuta come
noi. Egli ha confermato la
legge antica, ma
l’ha in parte rettificata (purificandola) e “completata” con degli allargamenti
di
orizzonte dipendenti
dal fatto che la sua prospettiva ed il suo Vangelo sono imperniati
sull’annunzio
dell’amore. Insieme alla nuova legge, Egli
dona anche la capacità di osservarla.
È
questo l’orizzonte
in cui si situa l’insegnamento di Gesù sul matrimonio e sui rapporti tra uomo e
donna.
1. IN ASCOLTO DELLA PAROLA
A. IL MATRIMONIO SECONDO GESÙ: Mt 19,3-12
Allora gli si avvicinarono alcuni
farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: “È lecito ad un uomo ripudiare
la
propria moglie per qualsiasi motivo?”.
Ed egli rispose: “Non avete letto che il Creatore da principio li creò
maschio e femmina e disse: Per questo
l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno
una carne sola ? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque
che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”. Gli obiettarono: “Perché allora
Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e mandarla via?”. Rispose loro
Gesù: “Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le
vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: Chiunque ripudia
la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra commette
adulterio”.
Gli dissero i discepoli: “Se questa è
la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi”. Egli
rispose loro: “Non tutti possono
capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Vi sono infatti eunuchi che
sono nati così dal ventre della madre;
ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che
si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca”4.
4 Testo
parallelo (Mc 10,1-12): Partito di là, si recò nel territorio della Giudea e
oltre il Giordano. La folla
accorse
di nuovo a lui e di nuovo egli l’ammaestrava, come era solito fare. E
avvicinatisi dei farisei, per
metterlo
alla prova, gli domandarono: “È lecito ad un marito ripudiare la propria
moglie?”. Ma egli rispose
loro:
“Che cosa vi ha ordinato Mosè?”. Dissero: “Mosè ha permesso di scrivere un atto
di ripudio e di
rimandarla”.
Gesù disse loro: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa
norma. Ma all’inizio
della
creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e
sua madre e i due
saranno
una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non
separi ciò che Dio ha congiunto”. 10 Rientrati a casa, i discepoli lo
interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli disse: “Chi ripudia la
propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la
donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio
La
questione sul divorzio. I farisei posero a Gesù un problema reale:
se fosse possibile il
divorzio, ovvero
lo scioglimento del patto coniugale, cosa che Mosè aveva effettivamente
permesso agli
Ebrei (citano Dt 24!). Gesù spiega che si tratta di un caso in cui Dio tollerò,
per un
certo tempo, il
male minore per evitare i guai grandi in cui una donna
ripudiata sarebbe incorsa:
lapidazione come
adultera (se il marito la avesse accusata di questo); prostituzione per mancanza
totale di mezzi di
sostentamento (dato che la donna contava meno di nulla). Il peccato, infatti,
aveva reso
praticamente impossibile vivere il matrimonio così come Dio lo aveva pensato.
Ma
Gesù, che venne
nella pienezza dei tempi, ovvero quando l’uomo era ormai maturo per
comprendere tutta
la volontà di Dio, e venne come Salvatore, ovvero come Colui che
avrebbe
nuovamente
restituito all’uomo la Grazia per poter vivere come Dio vuole, sposta il
discorso dal
piano della permissione
per ragioni di forza maggiore a quello del progetto
divino originario: e
partendo proprio
dal divorzio, torna a ripresentare il matrimonio così come concepito da sempre
nella mente di
Dio.
La
creazione maschio e femmina, l’essere una carne sola…
Ormai sappiamo che la creazione
maschio e femmina
fu fatta ad immagine e somiglianza della Trinità: l’uomo fu creato dal nulla
come signore del
creato, ma non trovò un aiuto che gli fosse simile; allora Dio dalla
sua costola
generò la donna e
gliela presento (così come il Padre da se stesso generò
suo figlio); Adamo amò la donna che vide ed ella amò Adamo; si unirono e nacque
Abele (che è appunto l’amore di Adamo verso Eva e di Eva verso Adamo). Questo
amore, dunque, è modellato su quello divino; ma appunto perché tale deve essere
totale,
esclusivo e fecondo.
Totale perché coinvolge le tre dimensioni dell’uomo:
·
quella spirituale: E’ più importante, perché l’amore è una scelta
(cioè un atto della volontà): si
sceglie di donarsi totalmente ed incondizionatamente
all’altro, condividendo con lui il progetto di vita di formare una famiglia e
vivendo un vero amore di amicizia, di stima, di rispetto;
·
quella psico–affettiva:
si instaura una relazione affettiva profonda, che parte dall’innamoramento e
continua con le reciproche attenzioni ed affetti che manifestano l’amore
come sentimento;
·
quella corporale.
si diventa una carne sola,
compiendo gli atti propri ed esclusivi dei
coniugi che manifestano e completano l’amore degli sposi e rendono fecondo nel
dono della vita il loro amore. La dimensione corporale è il sigillo delle altre due: ed è
significativa solo
se è espressione e compimento delle altre. Per questo i rapporti
prematrimoniali
(come avremo modo
di rivedere) la contraddicono profondamente.
Il
lasciare il padre e la madre: per
volontà di Dio, la scelta della vocazione matrimoniale (come anche di quella al
celibato), comporta una rottura evangelica dei
legami con la famiglia di origine, che non devono interagire o (peggio)
interferire con la nuova realtà che si forma. Sposi e spose “mammoni” o aventi
legami eccessivi con il nucleo familiare, sono la causa di non poche rotture di
matrimoni…
Quello
che Dio ha congiunto l’uomo non lo separi. Questo amore, in
quanto modellato su
quello divino, è
per sua natura indissolubile:
inscritto come progetto nell’anima di ogni uomo, si
realizza nel
perdurare, intatto, esclusivo e fecondo, nel tempo e nello spazio, e, una volta
sigillato
dall’essere
divenuti una carne sola, non
può essere sciolto da nessuna realtà umana.
Conviene
sposarsi? Il senso di questa domanda è molto
profondo: il matrimonio è anche un
rischio grande,
perché la sua riuscita non dipende solo dalla mia
personale fedeltà, ma anche da
quella dell’altro;
e se quest’ultima viene meno, non per questo può e deve venire meno la mia…
per questo i
discepoli pongono quest’obiezione…
B. L’ADULTERIO:
Mt 5,27-32
Avete inteso che fu detto: Non
commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per
desiderarla, ha già commesso adulterio
con lei nel suo cuore.
Se il tuo occhio destro ti è occasione
di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri,
piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna. E se la tua mano
destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te: conviene che
perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire
nella Geenna. Fu pure detto: Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto di
ripudio; ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di
concubinato, la espone all’adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio5.
Fu
detto… Ma io vi dico: Chiunque guarda per desiderare.
Bisogna anzitutto dire che
l’adulterio è un
peccato gravissimo: fino al VI secolo, per questo peccato, non c’era assoluzione,
sia che esso avesse la forma di una caduta occasionale, sia che prendesse la
forma stabile della
cessazione del
matrimonio per iniziare a vivere, more uxorio,
con un’altra persona. Questo perché
contraddice la
logica dell’essere una carne sola;
sarebbe come se un corpo umano fosse tagliato in due… Gesù va alla radice di
questo peccato, che sono gli sguardi concupiscenti e i desideri del
cuore. E questo
discorso, indirettamente, richiama la sacralità del corpo degli sposi, che non
deve
essere esposto ai
pubblici sguardi con abbigliamenti indecorosi, in quanto è fatto per essere
contemplato,
desiderato, goduto e posseduto solo ed
esclusivamente dal
coniuge…
L’occhio
destro e la mano destra. Siamo tutti adulti ed intelligenti per
comprendere a cosa
Gesù fa riferimento
con questi esempi. La Geenna è l’Inferno: Gesù sta dicendo che chi pecca
contro queste
cose, pecca mortalmente e si pecca mortalmente con il pensiero, con lo sguardo
e coni gesti… E Gesù dice: meglio farsi mutilare o morire piuttosto che
peccare…cioè andare
all’Inferno…
Ma
io vi dico: chi ripudia sua moglie… chi sposa una ripudiata… Il
divorzio è assolutamente
escluso: una volta
che si realizza il sigillo dell’essere una carne sola, qualunque unione carnale
(occasionale o
stabile) è adulterio; ed è adultero anche chi, essendo libero, sposa civilmente
un
divorziato o
convive con lui… Gesù, nel Vangelo, è chiarissimo… può essere sciolta solo una
convivenza
(concubinato) che è già in se stessa peccaminosa; ma non un matrimonio…
5 Testo
parallelo (Lc 16,18): Chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra,
commette adulterio;
chi
sposa una donna ripudiata dal marito, commette adulterio.
9.
IL MATRIMONIO. SACRAMENTO DELL’AMORE TRA
CRISTO E LA CHIESA
Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni
cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: “Ho
sete”. Vi era lì un vaso pieno
d’aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e
gliela accostarono alla bocca. E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: “Tutto
è compiuto!”. E, chinato il capo, spirò. Era il giorno della Preparazione e i
Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un
giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le
gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al
primo e poi all’altro che era stato crocifisso insieme con lui. Venuti però da
Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei
soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua.
I Padri della
Chiesa hanno da sempre visto la vera nascita della Chiesa dal costato
squarciato di
Cristo morto sulla
Croce. Sappiamo che il sacrificio di Gesù era finalizzato alla redenzione:
prendere su di sé,
per distruggerlo ed annientarlo, tutto il male che la cattiveria del diavolo
(unita
a quella dell’uomo
che aveva ascoltato le sue suggestioni peccando) aveva introdotto nel mondo. Il
gesto estremo
della Passione è l’aceto bevuto da Gesù prima di morire: Egli, che aveva sete
dell’amore e della
gratitudine dell’uomo, per cui aveva dato tutto Se stesso, viene ripagato con
l’ingratitudine e
il disprezzo (l’aceto è vino alterato, andato a male). Dopo questo gesto Gesù
“esala lo spirito”
e si “addormenta” sulla croce.
I soldati, volendo
controllare la morte reale di Gesù, gli perforano il costato per ferirgli il
cuore.
Giovanni ci dice
che da quella ferita uscì sangue ed acqua. Ora, noi sappiamo che l’acqua è
l’elemento usato
nel sacramento del Battesimo, che è il sacramento della nascita alla vita
cristiana;
e sappiamo che
nell’Eucaristia, vengono offerti dal sacerdote a Dio Padre il Corpo e il Sangue
di
Gesù. E sappiamo
anche che l’Eucaristia è il sacramento che accompagna tutta la vita del
cristiano, perché senza Eucaristia la sua vita cristiana, la sua stessa fede,
gradualmente muore. Uno è dunque il sacramento della nascita, l’altro quello
che alimenta in continuazione la vita di un
cristiano. Inoltre
a Gesù addormentato viene aperto il fianco, il costato: un particolare che ci
fa
pensare ad una
scena che abbiamo già vista, al momento della creazione dell’uomo: Eva nacque
dal costato aperto
di Adamo...
Che significa
tutto ciò? Che la Chiesa è nata dal costato aperto di Gesù dormiente sulla
Croce,
come Eva fu tratta
da Adamo. E come la vocazione di Adamo e quella di Eva fu (ed è) quella di
donarsi totalmente
l’uno all’altra per divenire da due una sola carne, ne segue che identica è la
relazione
intercorrente tra Cristo e la Chiesa, i cui rapporti devono essere concepiti in
termini
sponsali:
nell’Eucaristia realmente diventiamo una sola carne con Gesù! La
misura dell’amore
sponsale è dunque
segnata dal gesto estremo di Gesù che sulla Croce ha dato tutto se stesso,
senza “se”, senza “ma”, senza condizioni, senza ripensamenti e senza limiti,
riproducendo nella sua carne i caratteri dell’amore che caratterizza il suo
eterno rapporto trinitario col Padre e lo Spirito Santo:
Totale.
Gesù ha amato con tutto se stesso: corpo (ha sofferto pene indicibili), vita
affettiva (la
Madre
era presente, l’odio della folla) e spirito (ha fatto la terribile
esperienza del sentirsi
abbandonato
dal Padre ed
ha subito il tradimento,
il rinnegamento e
la fuga dei
suoi amici più cari)
Incondizionato.
L’amore di Gesù a noi uomini non si è tirato indietro davanti alla Croce: anzi
l’ha abbracciata
come prova suprema di esso.
Esclusivo.
Gesù si è dato totalmente ed incondizionatamente alla Chiesa, ovvero a coloro
che
accolgono,
accettano ed infine ricambiano il suo amore. Solo gli uomini (nemmeno gli
angeli!) sono
stati amati da Dio
così. E solo gli uomini, attraverso l’eucaristia, possono diventare una carne
sola
con Gesù…
Indissolubile.
Quest’atto estremo di amore di Gesù, culminante nell’apertura del Sacro
Costato da cui
sono sgorgati i sacramenti della nascita e della vita cristiana, è
irreversibile:
compiuto una volta
per tutte, si perpetua tuttavia in ogni santa Messa che viene celebrata e dà
vita
ad un amore che,
da parte di Gesù, non viene mai meno…
Eterno.
L’amore che Gesù ha mostrato nella morte di Croce non è altro che la
riproduzione, sul
piano umano, della
definitività e pienezza dell’amore divino: l’Amore eterno e infinito della
Trinità, si è reso
visibile nel “non poter fare e dare di più” del Crocifisso.
Fecondo.
Dall’amore di Gesù verso la Chiesa, attraverso il Battesimo, nascono
continuamente
nuovi cristiani,
nuovi uomini che, raggiunti da quest’amore, diventano figli di Dio…
Essenziale.
Ciò che Gesù ha manifestato e mostrato nella Passione e Morte di Croce
caratterizza la
sua vita propria personale: ciò che Egli essenzialmente e profondamente è…
B. IL MATRIMONIO SACRAMENTO DELL’AMORE TRA CRISTO
E LA CHIESA:
Ef 5,21-31
Siate sottomessi gli uni agli altri
nel timore di Cristo. Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il
marito infatti è capo della moglie,
come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come
la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti
in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa
e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del
lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire
davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile,
ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli
come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno
mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura,
come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo
l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due
formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a
Cristo e alla Chiesa! Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria
moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito.
“Mistero”
:è la traslitterazione del termine greco “mysterion”,
tradotto in latino con
“sacramentum”
ed in italiano con “sacramento”.
San Paolo sta dicendo che il matrimonio cristiano
riproduce,
nel suo essere un sacramento, il mistero di amore che lega Gesù
alla Chiesa e la Chiesa a Gesù: è dunque il segno visibile dell’amore tra
Cristo e la Chiesa.
L’amore
che gli sposi cristiani celebrano è dunque modellato su quello
che Gesù ha
manifestato
sulla Croce (che i Padri chiamavano “letto di amore dove
ci ha sposato il Signore”) ed a cui la Chiesa ha risposto, nei suoi veri figli,
con altrettanta totalità ed intensità: è il caso dei
martiri, che hanno
sparso il sangue per Gesù, delle vergini e dei celibi, che hanno rinunciato a
tutto
ciò che c’è di
umanamente bello per amare Lui con cuore indiviso, e delle famiglie sante, che
hanno sublimato
l’amore umano a livello soprannaturale, divenendo segno e germe di santità con
una totale e
reciproca donazione ed una straordinaria fecondità e generosità nella
trasmissione
della vita. Un
amore che trova nel sacramento (del matrimonio) la sua sorgente e
nell’Eucaristia il
suo continuo
alimento.
La sottomissione
di cui parla san Paolo non implica alcuna inferiorità della donna sul piano
della dignità né
alcuna pretesa di dominio da parte dell’uomo. Essa designa semplicemente dei
distinti caratteri
dell’uomo e della donna, che polarizzano la psiche maschile principalmente sul
piano
dell’autorità mentre quella femminile su quello della affettività. Inoltre
l’essere capo di un
cristiano è
soggetto alla legge data da Gesù nel Vangelo, secondo la quale “comandare” vuol
dire
servire, dare la
vita, lavare i piedi (gesto proprio degli schiavi), mettersi all’ultimo posto.
Infatti la
“superiorità”
dell’uomo sulla donna viene subito circoscritta su questi registri, laddove san
Paolo
afferma “amate le
vostre mogli come Cristo
ha amato la Chiesa”, cioè essendo disposti a dare tutti
voi stessi, anche
la dignità, anche l’onore, anche la stessa vita per amore delle vostre spose…
L’amore
crocifisso. Abbiamo visto che l’amore umano, per essere
tale e per essere autentico,
deve rivestire i
caratteri della totalità, che si esplica a tre livelli (spirituale
= l’amore come scelta di
donazione totale e incondizionata e condivisione della vita; psico–affettiva
= relazione affettiva
profonda,
innamoramento e manifestazioni dell’amore-sentimento;
corporale con cui si diventa
una
carne sola, compiendo gli atti propri
ed esclusivi dei coniugi). A questo si deve aggiungere il
carattere del
senza limiti, senza condizioni, senza “se” e senza “ma”, qualunque sia la
risposta di
amore che mi venga
dall’altro… Il Crocifisso è l’amore assoluto… ed il matrimonio deve
riprodurlo: si ama
il proprio coniuge senza condizioni, anche se non si è si riamati, anche se si
è
traditi e
abbandonati.
Il matrimonio
è dunque un sacramento in due sensi: primo, perché serve a rendere
visibile al
mondo il mistero
dell’amore, che trova nel Crocifisso la sua perfetta espressione; secondo
perché
trasmette agli
sposi la grazia di Dio per renderli capaci di tale amore incondizionatamente
oblativo e
responsabilmente fecondo nel
suo auto trascendersi nelle vite che da questo amore nasceranno…
10. L’INDISSOLUBILITÀ E LA FECONDITÀ DEL SACRAMENTO DEL
MATRIMONIO
1. CATECHISMO DELLA CHIESA
CATTOLICA
1643.
“L’amore coniugale comporta una totalità in cui entrano tutte le
componenti della
persona - richiamo
del corpo e dell’istinto, forza del sentimento e dell’affettività, aspirazione
dello spirito e
della volontà -; esso mira a una unità profondamente personale, quella che, al
di
là dell’unione in
una sola carne, conduce a non fare che un cuore solo e un’anima sola; esso
esige l’indissolubilità
e la fedeltà della donazione reciproca definitiva e si apre sulla fecondità.
In
una parola, si
tratta di caratteristiche normali di ogni amore coniugale, ma con un
significato
nuovo che non solo
le purifica e le consolida, ma anche le eleva al punto da farne l’espressione
di valori
propriamente cristiani”.
A. L’UNITÀ E L’INDISSOLUBILITÀ
DEL MATRIMONIO
1644.
L’amore degli sposi esige, per sua stessa natura, l’unità e
l’indissolubilità della loro
comunità di
persone che ingloba tutta la loro vita: “Così che non sono più due, ma una
carne
sola” (Mt 19,6; cf
Gen 2,24). Essi “sono chiamati a crescere continuamente nella loro comunione
attraverso la
fedeltà quotidiana alla promessa matrimoniale del reciproco dono totale”.
Questa
comunione umana è
confermata, purificata e condotta a perfezione mediante la comunione in
Cristo Gesù,
donata dal sacramento del Matrimonio. Essa si approfondisce mediante la vita
della comune fede
e l’Eucaristia ricevuta insieme.
1645.
“L’unità del matrimonio confermata dal Signore appare in maniera
lampante anche dalla
uguale dignità
personale sia dell’uomo che della donna, che deve essere riconosciuta nel
mutuo e pieno
amore”. La poligamia è contraria a questa pari dignità e all’amore coniugale
che è unico ed
esclusivo.
B. LA FEDELTÀ DELL’AMORE
CONIUGALE
1646.
L’amore coniugale esige dagli sposi, per sua stessa natura, una
fedeltà inviolabile. E’
questa la
conseguenza del dono di se stessi che gli sposi si fanno l’uno all’altro.
L’amore vuole
essere definitivo. Non può essere “fino a nuovo ordine”.
“Questa intima unione, in quanto
mutua donazione di
due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei
coniugi e ne
reclamano l’indissolubile unità”.
1647.
La motivazione più profonda si trova nella fedeltà di Dio alla sua
alleanza, di Cristo alla
sua Chiesa. Dal
sacramento del Matrimonio gli sposi sono abilitati a rappresentare tale fedeltà
e a darne
testimonianza. Dal sacramento, l’indissolubilità del Matrimonio riceve un senso
nuovo e più
profondo.
1648.
Può sembrare difficile, persino impossibile, legarsi per tutta la
vita a un essere umano. E’
perciò quanto mai
necessario annunciare la buona novella che Dio ci ama di un amore
definitivo e
irrevocabile, che gli sposi sono partecipi di questo amore, che egli li conduce
e li
sostiene, e che
attraverso la loro fedeltà possono essere i testimoni dell’amore fedele di Dio.
I
coniugi che, con
la grazia di Dio, danno questa testimonianza, spesso in condizioni molto
difficili,
meritano la gratitudine e il sostegno della comunità ecclesiale
1649.
Esistono tuttavia situazioni in cui la coabitazione matrimoniale
diventa praticamente
impossibile per le
più varie ragioni. In tali casi la Chiesa ammette la separazione fisica degli
sposi e la fine
della coabitazione. I coniugi però non cessano di essere marito e moglie
davanti
a Dio; non sono
liberi di contrarre una nuova unione. In questa difficile situazione, la
soluzione
migliore sarebbe,
se possibile, la riconciliazione. La comunità cristiana è chiamata ad aiutare
queste persone a
vivere cristianamente la loro situazione, nella fedeltà al vincolo del loro
matrimonio che
resta indissolubile
1650.
Oggi, in molti paesi, sono numerosi i cattolici che ricorrono al
divorzio secondo le leggi
civili e che
contraggono civilmente una nuova unione. La Chiesa sostiene, per fedeltà alla
parola di Gesù
Cristo (“Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio
contro di lei; se
la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio”: Mc
10,11-12), che non
può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo
matrimonio. Se i
divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che
oggettivamente
contrasta con la legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla Comunione
eucaristica, per
tutto il tempo che perdura tale situazione. Per lo stesso motivo non possono
esercitare certe
responsabilità ecclesiali. La riconciliazione mediante il sacramento della
Penitenza non può
essere accordata se non a coloro che si sono pentiti di aver violato il
segno
dell’Alleanza
e della fedeltà a Cristo, e si sono impegnati a vivere in una completa continenza.
1651.
Nei confronti dei cristiani che vivono in questa situazione e che
spesso conservano la fede
e desiderano
educare cristianamente i loro figli, i sacerdoti e tutta la comunità devono
dare
prova di una
attenta sollecitudine affinché essi non si considerino come separati dalla
Chiesa,
alla vita della
quale possono e devono partecipare in quanto battezzati: “Siano esortati ad
ascoltare la
Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella
preghiera,
a dare incremento
alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della
giustizia, a
educare i figli
nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza, per
implorare
così, di giorno in
giorno, la grazia di Dio”.
C. L’APERTURA ALLA FECONDITÀ
1652.
“Per sua indole naturale, l’istituto stesso del matrimonio e
l’amore coniugale sono
ordinati alla
procreazione e alla educazione della prole e in queste trovano il loro
coronamento
[…]. I figli sono
il preziosissimo dono del matrimonio e contribuiscono moltissimo al bene
degli stessi
genitori. Lo stesso Dio che disse: “Non è bene che l’uomo sia solo” (Gen 2,18)
e che
“creò all’inizio
l’uomo maschio e femmina” (Mt 19,4), volendo comunicare all’uomo una certa
speciale
partecipazione nella sua opera creatrice, benedisse l’uomo e la donna, dicendo
loro:
“Crescete e
moltiplicatevi” (Gen 1,28). Di conseguenza la vera pratica dell’amore coniugale
e
tutta la struttura
della vita familiare che ne nasce, senza posporre gli altri fini del
matrimonio, a
questo tendono che
i coniugi, con fortezza d’animo, siano disposti a cooperare con l’amore del
Creatore e del
Salvatore, che attraverso di loro continuamente dilata e arricchisce la sua
famiglia”.
1653.
La fecondità dell’amore coniugale si estende ai frutti della vita
morale, spirituale e
soprannaturale che
i genitori trasmettono ai loro figli attraverso l’educazione. I genitori sono i
primi e principali
educatori dei loro figli. In questo senso il compito fondamentale del
matrimonio e della
famiglia è di essere al servizio della vita.
1654.
I coniugi ai quali Dio non ha concesso di avere figli, possono
nondimeno avere una vita
coniugale piena di
senso, umanamente e cristianamente. Il loro matrimonio può risplendere di
una fecondità di
carità, di accoglienza e di sacrificio.
2. CODICE DI DIRITTO
CANONICO
Can.
1055 - 1. Il patto matrimoniale con cui l’uomo e la
donna stabiliscono tra loro la comunità
di tutta la vita,
per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione e educazione
della prole, tra i
battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento.
Pertanto tra i
battezzati non può sussistere un valido contratto matrimoniale, che non sia per
ciò stesso
sacramento.
Can.
1056 - Le proprietà essenziali del matrimonio sono
l’unità e l’indissolubilità, che nel
matrimonio
cristiano conseguono una peculiare stabilità in ragione del sacramento.
Can.
1057 - 1. L’atto che costituisce il matrimonio è il
consenso delle parti manifestato
legittimamente tra
persone giuridicamente abili; esso non può essere supplito da nessuna
potestà umana. 2.
Il consenso matrimoniale è l’atto della volontà con cui l’uomo e la donna,
con patto
irrevocabile, danno e accettano reciprocamente se stessi per costituire il
matrimonio.
Can.
1061 - 1. Il matrimonio valido tra battezzati si dice
solamente rato, se non è stato
consumato; rato e
consumato se i coniugi hanno compiuto tra loro, in modo umano, l’atto per
sé idoneo alla
generazione della prole, al quale il matrimonio è ordinato per sua natura, e
per il
quale i coniugi
divengono una sola carne.
Can.
1134 - Dalla valida celebrazione del matrimonio
sorge tra i coniugi un vincolo di
sua
natura perpetuo
ed esclusivo; inoltre nel matrimonio cristiano i coniugi,
per i compiti e la dignità
del loro stato,
vengono corroborati e come consacrati da uno speciale sacramento.
Can.
1141 - Il matrimonio rato e consumato non
può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa,
eccetto la morte.
Can.
1142 - Il matrimonio non consumato fra battezzati
per una giusta causa può essere sciolto
dal Romano
Pontefice, su richiesta di entrambe le parti o di una delle due, anche se
l’altra fosse
contraria.
Can.
1151 - I coniugi hanno il dovere e il diritto di
osservare la convivenza coniugale, eccetto
che ne siano
scusati da causa legittima.
Can.
1152 - 1. Per quanto si raccomandi vivamente che
ciascun coniuge, mosso da carità
cristiana e
premuroso per il bene della famiglia, non rifiuti il perdono alla comparte
adultera e
non interrompa la
vita coniugale, tuttavia se non le ha condonato la colpa espressamente o
tacitamente, ha il
diritto di sciogliere la convivenza coniugale, a meno che non abbia
acconsentito
all’adulterio, o non ne abbia dato il motivo, o non abbia egli pure commesso
adulterio. 2.
Si ha condono tacito se il coniuge innocente, dopo aver saputo dell’adulterio,
si
sia spontaneamente
intrattenuto con l’altro coniuge con affetto maritale; è presunto, invece, se
conservò per sei
mesi la convivenza coniugale, senza interporre ricorso presso l’autorità
ecclesiastica o
civile.
Can.
1153 - §1. Se uno dei coniugi compromette gravemente
il bene sia spirituale sia corporale
dell’altro o della
prole, oppure rende altrimenti troppo dura la vita comune, dà all’altro una
causa legittima
per separarsi, per decreto dell’Ordinario del luogo e anche per decisione
propria, se vi è
pericolo nell’attesa.
Can.
1154 - Effettuata la separazione dei coniugi, si
deve sempre provvedere opportunamente
al debito
sostentamento e educazione dei figli.
Can.
1155 - Il coniuge innocente, con atto degno di lode,
può ammettere nuovamente l’altro
coniuge alla vita
coniugale: nel qual caso rinuncia al diritto di separazione.
3. RITO DEL MATRIMONIO
“Siete disposti,
seguendo la via del matrimonio, ad amarvi e onorarvi l’un l’altro per tutta la
vita”?
“Siete disposti ad
accogliere con amore i figli che Dio vorrà donarvi e
a educarli secondo la legge
di Cristo e della
sua Chiesa?”
Io, N., accolgo
te, N., come mio sposo/a. Con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele
sempre,
nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti
e onorarti tutti i giorni della
mia vita”.
“L’uomo non osi
separare ciò che Dio unisce”.
4. IL MAGISTERO
DI GIOVANNI
PAOLO
II SULLE
“SITUAZIONI
IRREGOLARI”17
“Matrimonio
per esperimento”. Pur non essendo molto chiaro dal “nome” si
tratta di coloro
che, durante il
fidanzamento, vivono come se fossero già sposati, con il pretesto che
dovrebbero
provare a vedere
se c’è totale intesa tra la coppia; oppure le convivenze finalizzate a fare la
“prova
del matrimonio”.
Giovanni Paolo II scrive: “la Chiesa non può ammettere un tale tipo di unione
per ulteriori,
originali motivi, derivanti dalla fede. Da una parte, infatti, il dono del
corpo nel
rapporto sessuale
è il simbolo reale della donazione di tutta la persona: una tale donazione
peraltro,
nell’attuale economia non può attuarsi con verità piena senza il concorso
dell’amore di
carità, dato da
Cristo. Dall’altra parte, poi, il matrimonio fra due battezzati è il simbolo
reale
dell’unione di
Cristo con la Chiesa, una unione non temporanea o «ad esperimento», ma
eternamente
fedele; tra due battezzati, pertanto, non può
esistere che un matrimonio indissolubile”.
“Unioni
libere di fatto”. Sono le convivenze instaurate senza
l’intenzione di contrarre
eventualmente il
matrimonio. Il Papa fa una carrellata delle varie situazioni, talune molto
serie,
che possono
portare a questa scelta, invitando i pastori a fare opera di avvicinamento comprensivo
finalizzato alla
regolarizzazione. E conclude con parole che sono oggi di estrema attualità: “Il
Popolo di Dio si
adoperi anche presso le pubbliche autorità affinché resistendo a queste
tendenze
disgregatrici
della stessa società e dannose per la dignità, sicurezza e benessere dei
singoli
cittadini, si
adoperino perché l’opinione pubblica non sia indotta a sottovalutare
l’importanza
istituzionale del
matrimonio e della famiglia. E poiché in molte regioni, per l’estrema povertà
derivante da
strutture socioeconomiche ingiuste o inadeguate, i giovani non sono in
condizione di
sposarsi come si
conviene, la società e le pubbliche autorità favoriscano il matrimonio
legittimo
mediante una serie
di interventi sociali e politici, garantendo il salario familiare, emanando
disposizioni per
un’abitazione adatta alla vita familiare, creando adeguate possibilità di
lavoro e di
vita.”.
“Cattolici
uniti da matrimonio soltanto civile”. “Neppure questa situazione è accettabile
da
parte della
Chiesa. L’azione pastorale tenderà a far comprendere la necessità della
coerenza tra la
scelta di vita e
la fede che si professa, e cercherà di far quanto è possibile per indurre tali
persone a regolare la propria situazione alla luce dei principi cristiani. Pur
trattandole con grande carità, e
interessandole
alla vita delle rispettive comunità, i pastori della Chiesa non potranno
purtroppo
ammetterle ai
sacramenti”.
“Separati
e divorziati non risposati”. Nessun impedimento per l’ammissione ai
sacramenti.
Purché però il
divorzio si sia subito (e
non richiesto).
“Divorziati
risposati”. “Non possono essere ammessi ai sacramenti
dato che il loro stato e la
loro condizione di
vita contraddicono oggettivamente quell’unione
di amore tra Cristo e la Chiesa
significata ed
attuata dall’eucaristia. Lo potranno solo se, non potendo interrompere la
convivenza
(per esempio
perché genitori di figli piccoli) si astengono dagli atti propri dei coniugi”.
12. L’APERTURA ALLA VITA E LA PROCREAZIONE RESPONSABILE
1. IN ASCOLTO DEL MAGISTERO
DELLA CHIESA:
CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA
2360-2361.
La sessualità è ordinata all’amore coniugale dell’uomo e della donna. Nel
matrimonio
l’intimità corporale degli sposi diventa un segno e un pegno della comunione
spirituale. “La
sessualità, mediante la quale l’uomo e la donna si donano l’uno all’altra con
gli
atti propri ed
esclusivi degli sposi, non è affatto qualcosa di puramente biologico, ma
riguarda
l’intimo nucleo
della persona umana come tale. Essa si realizza in modo veramente umano solo
se è parte integrante
dell’amore con cui l’uomo e la donna si impegnano totalmente l’uno verso
l’altra fino alla
morte”
2362.
“Gli atti coi quali i coniugi si uniscono in casta intimità, sono onorevoli e
degni, e,
compiuti in modo
veramente umano, favoriscono la mutua donazione che essi significano, ed
arricchiscono
vicendevolmente in gioiosa gratitudine gli sposi stessi”19. La sessualità è sorgente
di gioia e di
piacere: “Il Creatore stesso ha stabilito che nella reciproca donazione fisica
totale
gli sposi provino
un piacere e una soddisfazione sia del corpo sia dello spirito. Quindi, gli
sposi
non commettono
nessun male cercando tale piacere e godendone. Accettano ciò che il Creatore
ha voluto per
loro. Tuttavia gli sposi devono saper restare nei limiti di una giusta moderazione”.
2363.
Mediante l’unione degli sposi si realizza il duplice fine del matrimonio: il
bene degli
stessi sposi e la
trasmissione della vita. Non si possono disgiungere questi
due significati o
valori del matrimonio,
senza alterare la vita spirituale della coppia e compromettere i beni del
matrimonio e
l’avvenire della famiglia. L’amore coniugale dell’uomo e della donna è così
posto
sotto la duplice
esigenza della fedeltà e della fecondità.
A.
LA FECONDITÀ DEL MATRIMONIO
2366.
La fecondità è un dono, un fine del matrimonio;
infatti l’amore coniugale tende per sua
natura ad essere
fecondo. Il figlio non viene ad aggiungersi dall’esterno al reciproco amore
degli sposi;
sboccia al cuore stesso del loro mutuo dono, di cui è frutto e compimento.
Perciò la
Chiesa, che “sta
dalla parte della vita”, “insegna che qualsiasi atto matrimoniale deve
rimanere
aperto
per sé alla trasmissione della vita […]. Tale dottrina, più volte esposta dal
magistero della
Chiesa, è fondata
sulla connessione inscindibile,
che Dio ha voluto e che l’uomo non può
rompere di sua
iniziativa, tra i due significati dell’atto
coniugale: il significato unitivo e il
significato
procreativo”.
2367.
Chiamati a donare la vita, gli sposi partecipano della potenza creatrice e
della paternità
di Dio [Cf Ef
3,14; Mt 23,9 ]. “Nel compito di trasmettere la vita umana e di educarla, che
deve
essere considerato
come la loro propria missione,
i coniugi sanno di essere cooperatori
dell’amore di Dio
Creatore e come suoi interpreti. E perciò adempiranno il loro dovere con
umana
e cristiana responsabilità”23.
2368.
Un aspetto particolare di tale responsabilità riguarda la regolazione
della procreazione. Per
validi motivi gli
sposi possono voler distanziare le nascite dei loro figli. Devono però
verificare
che il loro
desiderio non sia frutto di egoismo, ma sia conforme alla giusta generosità di
una
paternità
responsabile. Inoltre regoleranno il loro comportamento secondo i
criteri oggettivi
della
moralità ( non ricorrendo all’uso di mezzi
contraccettivi).
2369.
“Salvaguardando ambedue questi aspetti essenziali, unitivo e procreativo,
l’atto
coniugale conserva
integralmente il senso di mutuo e vero amore e il suo ordinamento
all’altissima
vocazione dell’uomo alla paternità”.
2370.
CRITERI OGGETTIVI DI MORALITÀ E ILLICEITÀ
DEI MEZZI CONTRACCETTIVI. La continenza
periodica, i
metodi di regolazione delle nascite basati sull’auto-osservazione e il ricorso
ai
periodi infecondi
sono conformi ai criteri oggettivi della moralità. Tali metodi rispettano il
corpo degli sposi,
incoraggiano tra loro la tenerezza e favoriscono l’educazione ad una libertà
autentica. Al
contrario, è intrinsecamente cattiva “ogni azione che, o in previsione
dell’atto
coniugale
(= pillola anticoncezionale, spirale o sterilizzazione),
o nel suo compimento (=
profilattico o
coito interrotto), o nello sviluppo delle sue conseguenze
naturali (= aborto,
anche terapeutico
e pillola RU 486), si proponga, come scopo o come mezzo,
di impedire la
procreazione”:
“Al linguaggio
nativo che esprime la reciproca donazione totale dei coniugi, la contraccezione
impone un
linguaggio oggettivamente contraddittorio, quello cioè del non donarsi
all’altro in
totalità: ne
deriva non soltanto il positivo rifiuto all’apertura alla vita, ma anche una
falsificazione dell’interiore
verità dell’amore coniugale, chiamato a donarsi in totalità
personale. [Tale
differenza antropologica e morale tra la contraccezione e il ricorso ai ritmi
periodici]
coinvolge in ultima analisi due concezioni della persona e della sessualità
umana tra
loro irriducibili”26.
2371.
“Sia chiaro a tutti che la vita dell’uomo e il compito di trasmetterla non sono
limitati solo
a questo tempo e
non si possono commisurare e capire in questo mondo soltanto, ma
riguardano sempre
il destino eterno degli uomini”27.
2372.
Lo Stato è responsabile del benessere dei cittadini. E’ legittimo che, a questo
titolo,
prenda iniziative
al fine di orientare l’incremento della popolazione. Può farlo con
un’informazione
obiettiva e rispettosa, mai però con imposizioni autoritarie e cogenti. Non
può legittimamente
sostituirsi all’iniziativa degli sposi, primi responsabili della procreazione e
dell’educazione
dei propri figli. Non è autorizzato a favorire mezzi di regolazione
demografica
contrari alla legge morale.
B. IL DONO DEL FIGLIO
2373.
La Sacra Scrittura e la pratica tradizionale della Chiesa vedono nelle famiglie
numerose
un segno della
benedizione divina e della generosità dei genitori.
2374.
Grande è la sofferenza delle coppie che si scoprono sterili. “Che mi darai? –
chiede
Abramo a Dio – Io
me ne vado senza figli…” (Gen 15,2). “Dammi dei figli, se no io muoio!”
grida Rachele al
marito Giacobbe (Gen 30,1).
2375.
Le ricerche finalizzate a ridurre la sterilità umana sono da incoraggiare, a
condizione che
si pongano “al
servizio della persona umana, dei suoi diritti inalienabili e del suo bene vero
e
integrale, secondo
il progetto e la volontà di Dio”
2376.
INSEMINAZIONE E FECONDAZIONE ARTIFICIALE ETEROLOGHE.
Le tecniche che provocano
una dissociazione
dei genitori, per l’intervento di una persona estranea alla coppia (dono di
sperma o di
ovocita, prestito dell’utero) sono gravemente disoneste.
Tali tecniche
(inseminazione e
fecondazione artificiali eterologhe) ledono il diritto del figlio a nascere da
un
padre e da una
madre conosciuti da lui e tra loro legati dal matrimonio. Tradiscono “il
diritto
esclusivo [degli
sposi] a diventare padre e madre soltanto l’uno attraverso l’altro”.
2377.
INSEMINAZIONE E FECONDAZIONE ARTIFICIALE OMOLOGHE.
Praticate in seno alla coppia,
tali tecniche
(inseminazione e fecondazione artificiali omologhe) sono, forse, meno
pregiudizievoli,
ma rimangono moralmente inaccettabili.
Dissociano l’atto sessuale dall’atto
procreatore.
L’atto che fonda l’esistenza del figli non è più un atto con il quale due
persone si
donano l’una
all’altra, bensì un atto che “affida la vita e l’identità dell’embrione al
potere dei
medici e dei
biologi e instaura un dominio della tecnica sull’origine e sul destino della
persona
umana. Una
siffatta relazione di dominio è in sé contraria alla dignità e alla uguaglianza
che
dev’essere comune
a genitori e figli”. “La procreazione è privata dal punto di vista morale
della sua
perfezione propria quando non è voluta come il frutto dell’atto coniugale, e
cioè del
gesto specifico
della unione degli sposi…; soltanto il rispetto del legame che esiste tra i
significati
dell’atto coniugale, e il rispetto dell’unità dell’essere umano consente una
procreazione
conforme alla dignità della persona” 31.
2378.
Non esiste un “diritto al figlio”.
Il figlio non è qualcosa di dovuto, ma un dono. Il
“dono più grande
del matrimonio” è una persona umana. Il figlio non può essere considerato
come oggetto di
proprietà: a ciò condurrebbe il riconoscimento di un preteso “diritto al
figlio”.
In questo campo,
soltanto il figlio ha veri diritti: quello “di essere il frutto dell’atto
specifico
dell’amore
coniugale dei suoi genitori e anche il diritto a essere rispettato come persona
dal
momento del suo
concepimento”32.
2379.
Il Vangelo mostra che la sterilità fisica non è un male assoluto. Gli sposi
che, dopo aver
esaurito i
legittimi ricorsi alla medicina, soffrono di sterilità, si uniranno alla croce
del Signore,
sorgente di ogni
fecondità spirituale. Essi possono mostrare la loro generosità adottando
bambini
abbandonati oppure compiendo servizi significativi a favore del prossimo.
2. RITO DEL MATRIMONIO
“Siete disposti ad
accogliere con amore i figli che Dio vorrà donarvi e
a educarli secondo la legge
di Cristo e della
sua Chiesa?”.
3. ALCUNE CONCLUSIONI
“L’apertura
alla vita: dal massimo al minimo”…
La fecondità e la trasmissione della vita sono
insite nell’amore
umano e nell’atto che lo esprime, lo manifesta, lo celebra e lo comunica: il
divenire una
sola carne. L’amore totale,
esclusivo, incondizionato, indissolubile, eterno ed essenziale è anche
necessariamente e intrinsecamente fecondo: è un fatto inscritto nelle leggi di
natura, che sono leggi di creazione, in cui è depositato,
in modo cristallino, il volere del Creatore. L’uomo non può dunque dissociare
artificialmente questi elementi, e al tempo stesso deve concepire la trasmissione
della vita da un lato come dono (di Dio)
dall’altro come missione (dei
coniugi). Escludere la vita rende nullo il matrimonio, limitarla in maniera
moralmente illecita rende
disonesto e
peccaminoso un atto che, di per sé, è sacro e benedetto da Dio (l’atto
coniugale). Come vivere l’apertura alla vita? C’è un massimo e un minimo, al di
sotto del quale si viola gravemente la legge di Dio e si tradisce la propria
missione:
Apertura
illimitata alla
vita. I coniugi si uniscono come e quando vogliono, nella
disponibilità
assoluta ad
accogliere tante vite quante Dio vorrà mandarne. A questo livello si vive la
vera e
propria santità,
con un esercizio eroico dei doveri inerenti alla missione matrimoniale.
Apertura
generosa alla
vita. I coniugi programmano le nascite con un criterio di generosità
(3-4-5 figli), con
l’intenzione di non andare oltre una certa soglia, ferma restando l’apertura ad
una
diversa volontà di
Dio, che essi non ostacolano utilizzando esclusivamente
i mezzi moralmente leciti per esercitare la paternità e maternità
responsabile. Per una scelta di questo genere devono
comunque esserci
motivazioni valide e non dettate da criteri di mero egoismo. Se tali non
fossero, i
coniugi non
sarebbero esenti da peccato e di esso dovranno rispondere a Dio. Al riguardo è
bene
citare un
passaggio dell’Humanae vitae di
Paolo VI: “In rapporto alle condizioni fisiche,
economiche,
psicologiche e sociali, la paternità responsabile si esercita, sia con la
deliberazione
ponderata e
generosa di far crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione, presa per
gravi
motivi e nel
rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente od anche a tempo
indeterminato, una
nuova nascita. Paternità responsabile comporta ancora e soprattutto un più
profondo rapporto
all’ordine morale chiamato oggettivo, stabilito da Dio e di cui la retta
coscienza
è vera interprete.
L’esercizio responsabile della paternità implica dunque che i coniugi
riconoscano
i propri doveri
verso Dio, verso se stessi, verso la famiglia e verso la società, in una giusta
gerarchia dei
valori. Nel compito di trasmettere la vita, essi non sono quindi liberi di
procedere a
proprio arbitrio,
come se potessero determinare in modo del tutto autonomo le vie oneste da
seguire, ma, al
contrario, devono conformare il loro agire all’intenzione creatrice di Dio,
espressa
nella stessa
natura del matrimonio e dei suoi atti, e manifestata dall’insegnamento costante
della
chiesa”.
Apertura
sostanziale alla
vita. I coniugi, pur non puntando alla generosità, sono d’accordo nel
fatto che mai
chiuderanno le porte in maniera illecita alla vita, astenendosi sempre e
comunque
dall’uso dei mezzi
contraccettivi moralmente illeciti. Devono però esserci motivi seri e validi
(non
certo mero
egoismo) per limitare al minimo le nascite, tenendo presente che Dio giudicherà
nel
merito la
rilevanza e la serietà di tali motivi. Se essi non fossero davvero validi,
anche in questo
caso si è fuori della
volontà di Dio. Al di sotto di questo minimo, è necessario ricordare che ogni
atto coniugale
costituisce un peccato mortale, nonostante sia compiuto all’interno del
sacramento
del matrimonio.
Chiusura
totale o condizionata alla vita. I coniugi usano la contraccezione per
evitare di avere
figli in maniera
assoluta, o per dilazionare nel tempo le nascite oppure, arrivati ad un certo
punto,
per dire un
“basta”“ definitivo al sorgere di eventuali nuove nascite. In questo caso ogni
atto
coniugale che
compiono è, agli occhi di Dio, un vero e proprio peccato mortale.
L’amore
senza vita. Il mistero dell’amore umano e dell’essere
una carne sola racchiude due
misteri ben più
grandi, che hanno la loro sorgente in Dio e che in Lui sono indissociabili:
l’amore e
la vita. Ogni
volta che si usa del matrimonio escludendo la vita (ovvero usando i mezzi
contraccettivi) si
contraddice il significato naturale e sacramentale dell’amore umano, che è
immagine e
riproduzione del mistero di amore trinitario.
La
vita senza amore. Le tecniche per far nascere una vita al di
fuori dell’atto coniugale
incorrono nel
peccato opposto: non l’amore senza la vita, ma la vita senza l’amore. Ed a
prescindere dal
fatto che, come è noto, nelle tecniche di fecondazione avviene la perdita di
almeno
qualche embrione
(cosa moralmente inammissibile) resta comunque l’offesa alla dignità dell’amore
umano ed alla
dignità del nascituro di essere concepito dentro quel processo di trasmissione
della
vita che il
Creatore ha ideato, stabilito e voluto.
Il
vero problema. Il problema dell’apertura alla vita e della
procreazione responsabile è, in
realtà, un
problema di fede: se io credo che
il Signore della vita è Dio, che Lui è mio padre, che un
figlio nasce sulla
terra per volontà di Dio, che ha una missione da compiere ed un destino di vita
eterno,
non avrò difficoltà ad essere aperto alla vita: può Dio, che è mio Padre,
volere il mio male?
Può farmi nascere
un figlio senza aiutarmi a provvedere a Lui? E se non mi ha concesso il dono di
diventare padre o
madre, questo, anche se io non lo vedo, è bene per me e troverò altre forme ed
altri modi per far
autotrascendere l’amore sponsale senza violare le soglie che la sua volontà ha
stabilito ed
inscritto nelle leggi naturali.
12. LE OFFESE ALLA SANTITÀ DEL MATRIMONIO
ALCUNE
PREMESSE
La virtù della castità.
La virtù della castità è una parte della virtù cardinale della temperanza,
che modera l’uso
dei beni e dei piaceri sensibili dentro le coordinate della volontà di Dio.
Mangiare
è bene, ma non lo
è strafogarsi; bere non è male, ma lo è ubriacarsi; fumare non è peccato, ma lo
diventa se si fuma
troppo; etc. La castità regola l’uso dei piaceri venerei ordinandone
l’esercizio in
maniera conforme
alla volontà di Colui che è l’artefice della sessualità umana. Da quanto già
conosciamo circa
l’aspetto inscindibilmente unitivo e procreativo dell’atto coniugale, nonché
del
suo essere
espressione e sigillo dell’unità di due creature che, donandosi totalmente,
diventano
una sola carne,
molte cose dovrebbero già essere chiare.
Il
piacere sessuale. Per comprendere bene il discorso sulla
castità, bisogna sgombrare il campo
da un possibile
equivoco riguardante la natura del piacere sessuale.
Esso, in sé considerato, non è
cattivo: è infatti
insito nella natura dell’uomo, o meglio, più in generale, dei mammiferi.
Bisogna
piuttosto
chiedersi: perché Dio
lo ha creato? Come ha affermato anche Giovanni Paolo II nelle sue
catechesi sulla
famiglia, Dio ha creato la sessualità come gesto naturalmente idoneo a
trasmettere
la vita; il
piacere che ne consegue è un segno del fatto che amare vuol dire essere felici
ed anche
come incentivo
alla procreazione che, richiedendo molti sacrifici (pur essendo una delle cose
più
belle che esista),
era giusto che prevedesse negli atti idonei a porla in essere un godimento
attuale
che ne facesse
comprendere la bellezza e la grandezza. Senza il piacere sessuale gli animali
non si unirebbero e le specie si estinguerebbero. In un uomo e una donna,
questa finalità può essere
compresa e vissuta
in maniera gioiosa e cosciente: si vive il piacere sessuale come coronamento
della donazione totale
e completa reciproca
in un atto che è finalizzato a
collaborare con Dio nella
procreazione. Di
conseguenza, tutte le forme di raggiungimento del piacere sessuale che esulano
dall’atto coniugale
aperto alla procreazione, compiuto tra un uomo e una donna che
siano uniti tra
loro dal vincolo
(indissolubile) del matrimonio, sono moralmente illecite e gravemente
disordinate,
perché
contraddicono la natura dell’amore (come relazione reciproca finalizzata alla
trasmissione
della vita) ed il
suo linguaggio, che è appunto quello della sessualità coniugale, nel suo
mistero di
unione che fa
diventare una carne sola e di cooperazione all’atto divino per eccellenza che è
la
trasmissione della
vita.
Un’unica virtù con diverse modalità di
esercizio. La castità, in quanto virtù, è unica, ma è
diversamente
vissuta a seconda della condizione in cui ci si trova: c’è la castità del
celibe e della
nubile, la castità
dei fidanzati, la castità dei coniugati, dei vedovi, etc. Un celibe ed una
nubile
devono vivere la
castità nella forma della totale continenza (astensione
dal compimento degli atti
di natura
sessuale); i fidanzati devono vivere la castità limitandosi a scambiarsi quelle
effusioni che
siano espressioni
dell’affetto reciproco,
senza però raggiungere il piacere sessuale (neanche nella
forma “soft” del petting); due coniugati
devono vivere la castità nella forma della fedeltà reciproca
(di corpo, di
occhi e di cuore), nell’uso ordinato e umano della sessualità coniugale, nel
mantenersi
aperti alla vita.
1. IN ASCOLTO DELLA PAROLA
A. Dalla prima
lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 6,13.15-20)
Fratelli il corpo non è per
l’impudicizia, ma per il Signore. Non sapete che i vostri corpi sono membra di
Cristo? Prenderò dunque le membra di
Cristo e ne farò membra di una prostituta? Non sia mai! O non sapete voi che
chi si unisce alla prostituta forma
con essa un corpo solo? I due saranno, è detto, un corpo solo. Ma chi si unisce al Signore forma
con lui un solo spirito. Fuggite
la fornicazione!
Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si da alla
fornicazione, pecca contro il proprio corpo. O non sapete che il vostro corpo è
tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non
appartenete a
voi stessi? Infatti siete stati
comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!
B. Dalla prima
lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi (1Ts 4,3-7)
La volontà di Dio è la vostra
santificazione: che vi asteniate
dalla impudicizia,
che ciascuno sappia
mantenere il proprio corpo con
santità e rispetto, non come oggetto di passioni e
libidine, come i
pagani che non conoscono Dio; che nessuno offenda e inganni in
questa materia il proprio fratello,
perché il Signore è vindice di
tutte queste cose, come già vi abbiamo detto e attestato. Dio non ci ha
chiamati all’impurità, ma alla
santificazione. Perciò chi disprezza queste norme non disprezza un uomo, ma
Dio stesso, che vi dona il suo Santo
Spirito.
C. Dalla lettera
di san Paolo apostolo ai Galati (Gal 5,19-21)
Del resto le opere della carne sono
ben note: fornicazione, impurità,
libertinaggio, idolatria, stregonerie,
inimicizie, discordia, gelosia,
dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa
queste cose vi preavviso, come già ho
detto, che chi le compie non erediterà il
regno di Dio.
D. Dalla lettera
di san Paolo apostolo ai Colossesi (Col 3,5-6)
Mortificate dunque quella parte di voi
che appartiene alla terra: fornicazione,
impurità, passioni, desideri
cattivi e quella avarizia insaziabile che è
idolatria, cose tutte che attirano l’ira di Dio su coloro che
disobbediscono.
E. Dalla lettera
di san Paolo apostolo agli Efesini (Ef 5,3-5)
Quanto alla fornicazione e a ogni specie di
impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra
voi, come si addice
a santi; lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità: cose tutte sconvenienti. Si rendano
invece
azioni di grazie! Perché, sappiatelo
bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro - che è roba da idolatri -
avrà parte al regno di Cristo e di
Dio.
F. Dalla lettera
agli Ebrei (Eb 13,4)
Il matrimonio sia rispettato da tutti
e il talamo sia senza macchia. I fornicatori
e gli adulteri saranno
giudicati da Dio.
G. Dalla lettera
di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 1,24-28)
Perciò Dio ha abbandonato i pagani
all’impurità secondo i desideri del loro cuore, sì
da disonorare fra di loro i
propri corpi, poiché essi hanno
cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la
creatura al posto del creatore, che è
benedetto nei secoli. Amen. Per questo Dio li ha abbandonati a passioni
infami; le loro donne hanno cambiato i
rapporti naturali in rapporti
contro natura. Egualmente anche gli
uomini, lasciando il rapporto
naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri,
commettendo atti ignominiosi
uomini con uomini,
ricevendo così in se stessi la punizione che s’addiceva
al loro traviamento. E poiché hanno
disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d’una
intelligenza depravata.
H. Dalla seconda
lettera di san Pietro apostolo (2Pt 1-2.13-14)
Ci sono stati anche falsi profeti tra
il popolo, come pure ci saranno in mezzo a voi falsi maestri che
introdurranno eresie perniciose,
rinnegando il Signore che li ha riscattati e attirandosi una pronta rovina.
Molti seguiranno le loro dissolutezze e per colpa loro la via della verità
sarà coperta di impropèri. Essi
stimano felicità il piacere d’un
giorno; sono tutta sporcizia e vergogna; si dilettano dei loro inganni
!42
mentre fan festa con voi; han gli
occhi pieni di disonesti desideri e sono insaziabili di peccato, adescano le
anime instabili, hanno il cuore rotto
alla cupidigia, figli
di maledizione!
I. Dalla lettera
di san Giuda apostolo (1,5.7)
Ora io voglio ricordare a voi, che già
conoscete tutte queste cose, che il Signore dopo aver salvato il popolo dalla
terra d’Egitto, fece perire in seguito
quelli che non vollero credere. Così Sodoma e Gomorra e le città vicine,
che si sono abbandonate all’impudicizia allo stesso modo e sono andate dietro
a vizi contro natura, stanno
come esempio subendo le pene di un fuoco eterno.
2. OFFESE CONTRO LA SANTITÀ DELLA SESSUALITÀ UMANA
Masturbazione.
La masturbazione offende la sessualità umana in quanto ricerca il piacere
sessuale al di
fuori della relazione, in modo quindi fine a se stesso per il puro godimento
fisico.
Petting.
Il petting offende la santità della sessualità umana in quanto è finalizzato al
conseguimento del
piacere sessuale dentro la relazione uomo–donna ma non come coronamento di
un atto di
donazione totale aperto alla trasmissione della vita. Il principio egoistico
del piacere ne è
alla base. Alcuni
atti tipici del petting sono leciti nel matrimonio in quanto preparatori
dell’atto
coniugale.
Fornicazione.
È l’atto sessuale compiuto al di fuori del matrimonio. Offende la santità della
sessualità umana
in quanto pone in essere un linguaggio anzitutto non adatto alla precarietà del
fidanzamento (che
può finire). Inoltre contraddice l’esclusività e l’unicità della donazione
completa
e reciproca di una
coppia, perché non è detto che il fidanzato diventi il coniuge. Infine non può
essere accogliente
della vita, per il fatto che lede il diritto dell’eventuale nascituro di avere
una
famiglia stabile
in cui nascere e crescere, per cui normalmente, alla sua peccaminosità
intrinseca si
aggiunge l’uso dei
contraccettivi o, peggio, l’uso contraccettivo dell’aborto.
Rapporti
contro natura. Sono tutte le forme di esercizio della
sessualità diverse dall’atto
coniugale
(naturale); dai rapporti contro natura di memoria biblica (per esempio a Sodoma
e
Gomorra) a tutte
le forme di perversione sessuale. Anche nel matrimonio vanno assolutamente
evitate. E se un
coniuge è richiesto di qualche “prestazione sessuale” particolare ha l’obbligo
morale gravissimo
di rifiutarsi, esigendo il rispetto della santità della sua persona e degli atti
coniugali.
Offese
al pudore e alla decenza. Si commettono non osservando la giusta
misura nel vestire,
specialmente da
parte delle donne. Il corpo non è merce da mettere in mostra onde suscitare e
provocare gli
istinti bassi dell’uomo: appartiene ad una sola persona, ed essa sola ha il
diritto di
vederlo e di
goderlo. Per questo peccato, la Madonna a Fatima ha affermato che molte donne
vanno all’Inferno.
Rapporti
di tipo omosessuale. Ferma restando la complessità della
problematica omosessuale
e la sua genesi,
per cui la persona omosessuale
va accolta, compresa e aiutata (ma non incoraggiata o ingannata…), gli atti omosessuali sono in sé delle vere e proprie
depravazioni, in quanto contraddicono radicalmente
la complementarietà e reciprocità del rapporto uomo–donna in quanto mistero
d’amore e fonte della trasmissione della vita.
Pornografia
e depravazioni. Offendono gravissimamente la santità della
sessualità umana, in
quanto la prima
rende pubblico quanto c’è di più intimo presentandone un’immagine coincidente
semplicemente con
la libidine più sfrenata, in cui ogni mezzo è lecito per raggiungere il massimo
piacere possibile…
Prostituzione.
Offende gravemente la santità della sessualità umana come linguaggio di
amore. Pecca molto
più gravemente chi la sfrutta o chi la usa che non chi la pratica (a volte per
grave necessità)…
!43
3. OFFESE CONTRO LA SANTITÀ DEL MATRIMONIO E LA CASTITÀ CONIUGALE
Adulterio.
È il compimento dell’atto sessuale con persona diversa dal coniuge. È un
peccato
gravissimo da cui
fino al VI secolo non si poteva essere assolti e che costituisce giusta causa
di
separazione per il
coniuge innocente, in quanto contraddice l’unità inviolabile degli sposi ed il
loro
dovere di assoluta
fedeltà.
Concubinato.
È la convivenza “more uxorio”
al di fuori del matrimonio. Contraddice
gravemente la
vocazione all’amore come dono totale e incondizionato di sé, che non tollera la
sottoposizione a
“prove” e che porta in sé il rischio insito in ogni gesto di amore autentico
(come
quello di Gesù…)
Divorzio.
Contraddice gravemente l’indissolubilità del matrimonio sacramento. Un coniuge
cristiano non può
(e non deve) mai chiederlo, neanche se si sia separato per giusta causa. Può
solo
“subirlo”, stante
l’attuale legislazione vigente nell’ordinamento italiano (che lo rende
“automatico”
su istanza anche
di una sola parte dopo tre anni dalla sentenza di separazione).
Chiusura
alla vita. Come abbiamo visto, tutti i mezzi
contraccettivi contraddicono
oggettivamente
l’unione inscindibile tra aspetto unitivo e procreativo dell’atto sessuale:
“l’amore
senza la vita”.
Ricorso
a mezzi di fecondazione assistita. Anch’essi contraddicono il legame
inscindibile della
vita con l’amore:
“la vita senza l’amore”.
Uso
della sessualità diverso dall’atto coniugale. Anche dentro il
matrimonio, come abbiamo
visto, non tutto è
lecito. Per cui il raggiungimento del piacere sessuale va ricercato solo
e sempre
come coronamento
dell’atto coniugale compiuto come donazione totale di sé aperta alla possibile
trasmissione della
vita. Tutto il resto, anche dentro il sacramento del matrimonio, macchia
gravemente la
santità del talamo coniugale.
Ingiustificata
negazione dell’atto coniugale. Due coniugi che si danno l’uno all’altra
consegnano la
propria vita nelle mani dell’altro, a cui realmente
si appartiene. A volte la negazione
dell’atto
coniugale viene compiuta per vendetta, per ripicca o per egoismo, senza
capacità di
andare incontro ai
desideri dell’altro. Quando però ci si nega all’atto coniugale senza una giusta
causa (grande stanchezza,
indisposizione, etc.) si contraddice la verità dell’amore come consegna
integrale di sé
all’altro.
Desiderare
o guardare con desiderio una persona diversa dal coniuge.
Ricordare le parole di
Gesù su chi guarda
per desiderare: è adultero come chi commette realmente adulterio. I desideri e
gli sguardi
impuri, anche se non terminano nell’atto, costituiscono da se stessi un peccato
mortale.
Rebus
sic stantibus, dobbiamo trarre alcune debite conclusioni
circa il fidanzamento cristiano.
Se, alla luce di quanto
visto in questo capitolo, possono ritenersi leciti alcuni gesti con cui i
fidanzati
esprimono castamente il loro affetto reciproco scambiandosi tenere e pulite
effusioni, la
soglia si alza
inesorabile quando all’affetto subentra la passione o la libido, che nel
periodo
prematrimoniale
deve essere contenuta, controllata e sacrificata in nome della custodia
dell’amore
autentico. Non
solo, dunque, il vero e proprio rapporto more
uxorio (fornicazione), ma anche i gesti
a carattere
sessuale atti a stimolare il piacere venereo (tutti, nessuno escluso – il
lettore ovviamente capirà) costituiscono ciascuno e singolarmente un vero e
proprio peccato mortale, anche quando non consegua direttamente il
raggiungimento del piacere fisico. Che il bacio
profondo fosse peccato mortale era non solo patrimonio
comune delle nostre nonne e oggetto di insegnamento molto chiaro e severo da
parte dei santi (celebre è il caso di san Pio da Pietrelcina che negò l’assoluzione
a una sua figlia spirituale che, solo una settimana prima del matrimonio,
cedette alla tentazione di dare un bacio al fidanzato!), ma costituisce una vera
e propria pronuncia dogmatica da parte di papa Alessandro VII. Ai suoi tempi i
teologi lassisti insegnavano che un bacio dato senza il pericolo di “ulteriori
conseguenze” fosse peccato soltanto veniale (si badi: neppure i lassisti
pensavano che non fosse peccato, ma che fosse peccato “soltanto veniale”). Il
Papa, tuttavia, respinse tale dottrina condannando esplicitamente la seguente
proposizione: «Probabile è l’opinione che dice che soltanto veniale è un bacio
per piacere carnale e sensibile che viene da esso, fin quando non c’è pericolo
di ulteriore consenso o di polluzione» (Denz. 2060). La sentenza di trova nel
Denzinger, che, come tutti i teologi sanno, raccoglie le proposizioni
vincolanti in materia di Fede e di Morale. Nessuno dunque può osare opporvisi o
contestarla.
13.
I CARATTERI PSICHICI COSTITUTIVI
DELL’ESSERE UOMO – DONNA. IL
RAPPORTO DI COPPIA
Per
non dimenticare… Gran parte delle cose che vedremo in questo
capitolo affondano la loro
radice e la loro
origine nella Creazione maschio e femmina e nel racconto sul peccato originale:
tutto quanto
abbiamo acquisito in quelle sedi è da tenere ben presente, in quanto i dati
provenienti
dalle scienze
umane non fanno che concretizzarli, specificarli e dettagliarli ulteriormente.
Evitare
malintesi. Come anche qualche laico accorto ha avuto
modo di rilevare, uguaglianza e
pari dignità è
concetto diverso da identità:
la sostanziale diversità tra l’uomo e la donna non nega
né mina la loro
sostanziale uguaglianza (hanno entrambi una vera natura umana) e la loro pari
dignità (sono
portatori dei medesimi diritti e tenuti ai medesimi doveri). Ricordare a questo
proposito quanto
abbiamo visto sulle Persone divine, in cui la totale eguaglianza tra i Tre non
solo
non esclude ma
anzi è possibile solo perché tra Essi non sussiste piena identità.
La
realtà come dato e come compito. La situazione dell’uomo in un mondo
dominato dal
peccato e da quelle
che Giovanni Paolo II chiamava addirittura “strutture di peccato” complica
non di poco il
“compito” di essere uomo e di essere donna. Come vedremo queste due realtà sono
da un lato un
punto di partenza ed un dato di fatto (si nasce maschi
e femmine),
ma anche un
compito ed un
punto di arrivo (si diventa uomini
e donne). Questo perché dentro i processi di
crescita e di
maturazione interferiscono molteplici fattori, primi fra tutti le relazioni
familiari, che,
segnate anch’esse
dal peccato e dalla miseria umana, condizionano non poco l’evoluzione della
persona. Il dato
dell’omosessualità ne rappresenta la conferma estrema e drammatica.
Il
processo di auto-identificazione sessuale.
Da quanto detto risulta che l’essere realmente un
uomo ed una donna
(con tutti i caratteri che integrano queste due condizioni complementari)
richiede un
processo in cui integrare, dentro il proprio essere maschio – femmina, i valori
dell’essere uomo –
donna. È questo ciò che si chiama il processo di autoidentificazione sessuale.
1. I
CARATTERI SESSUALI PSICHICI SECONDARI
2. CONSEGUENZE
Fare
una buona autoanalisi. Questi caratteri si chiamano psichici secondari,
perché pur essendo
costitutivi
dell’essere uomo e dell’essere donna, non sono congeniti, ma vengono acquisiti
nel
processo di
auto-identificazione sessuale, in cui gioca un ruolo determinante il genitore
dello
stesso sesso, ma
anche quello di sesso diverso:
Difficoltà
nei rapporti con il genitore di sesso diverso. Lasciano delle
ferite molto profonde
nell’animo del
fanciullo. Una donna che ha avuto un brutto rapporto col padre, accumula una
profonda
insicurezza circa i propri mezzi, unita ad un bassissimo tasso di autostima; un
uomo che
ha avuto un
rapporto inesistente o molto cattivo con la madre, diventa praticamente incapace
di
amare e far
percepire l’amore, fondamentalmente duro e freddo, superbo, poco malleabile.
Difficoltà
nei rapporti con il genitore dello stesso sesso.
In parte sono fisiologiche: Freud ha
dimostrato che i
rapporti “trasversali” sono quelli a cui si è naturalmente inclini (anche nei
rapporti
genitori-figli si riproduce la legge di natura per cui l’uomo si trova bene con
la donna e
viceversa), ma se
giungono ad essere di tipo conflittuale o profondamente conflittuale, generano
problemi
speculari: una donna che non ha conosciuto l’amore materno perde molta della
capacità
d’amare della
donna, unita a profonda acidità, a volte durezza o autoritarismo; un uomo che
ha
avuto molti
problemi col padre, perde molta della capacità di “governare”, “dare sicurezza”,
“decidere”,
propria dell’uomo e spesso diventa il “figlio aggiunto” della donna che sposa.
Difficoltà
molto gravi con il genitore dello stesso sesso unite a forme di amore
“eccessivo”
nei
rapporti trasversali. È questo il terreno che può dar vita a quei
disturbi del processo di
identificazione
sessuale che degenerano nell’omosessualità. Infatti l’uomo percepisce l’essere
uomo come qualcosa
di brutto e negativo, mentre l’essere donna come qualcosa di bello; per cui
pur essendo
“maschio”, crescendo tenderà dapprima ad imitare (vestiti, atteggiamenti, etc.)
la
donna, poi “a
sentirsi” donna, infine a “comportarsi” da donna, non solo dal punto di vista
sessuale, ma anche
dal punto di vista sentimentale… Stessa cosa vale per la donna…
Ambivalenza
dei singoli fattori. Ciascuno dei singoli caratteri, come è
evidente, ha una
sostanziale
ambivalenza: l’autorità può essere un servizio o degenerare in autoritarismo,
così come la dolcezza può degenerare in mollezza oppure servire l’amore. La
rudezza non deve diventare rozzezza, e la cura del particolare non deve
diventare paranoia… E’ compito dell’uomo e della donna scoprire ed amare il
proprio patrimonio di “identità” (essere felici di essere e sentirsi uomini e
donne) ed indirizzarlo al servizio del bene e dell’altro.
È
possibile correggere eventuale incidenti di percorso.
Se ho atteggiamenti contrari al mio
essere “uomo” o
“donna” è necessario lavorare per correggerli, se necessario anche attraverso
un
cammino di presa
di coscienza della radice dei propri conflitti. Eventuali problemi, infatti,
danneggiano non
poco la vita di relazione ed influiscono in maniera assai pesante nel rapporto
di
coppia.
3. IL RAPPORTO DI COPPIA
Tenere
conto delle caratteristiche dell’altro. Non si può stare accanto all’altro
pretendendo
che sia, pensi e
funzioni come me. La coppia cristiana integra la
diversità nell’amore di donazione e
si sforza di
concepire la diversità non come opposizione ma come aiuto, non come conflitto
ma
come potenzialità,
non come pretesa di dominio ma come servizio.
Alcuni
esempi. Un uomo che torna stressato da una giornata
di lavoro vuole solo una cosa:
rilassarsi, stare
tranquillo, non pensarci. La donna, se lo vede stressato, comincia a
chiedergli: “che hai? Che hai fatto? Che è successo? Perché non mi parli?”. E
così finisce di stressarlo!!! Nella peggiore delle ipotesi comincia a farsi i
film che avrà un’altra, etc. Cosa dovrebbe fare? Stare vicina al marito, con
dolcezza e discrezione, senza affliggerlo. Una donna stressata, invece, ha
bisogno di parlare, di sfogarsi… Ma all’uomo costa enormemente mettersi a sentire
tante “chiacchiere”… Ma se ama davvero lo farà, perché la donna ha bisogno di
sentirsi compresa e protetta… E che succede se una sera lui torna stressato e
lei pure?!? Che chi ama di più si adeguerà ai bisogni dell’altro… Ma nella
stragrande maggioranza dei casi, purtroppo, ciascuno dei due pretenderà dall’altro
di avere ciò di cui sente di avere bisogno (il silenzio lui, le parole lei…).
Discorso
simile vale nella relazione sessuale. Integrare l’essere uomo e l’essere donna in
un
vero amore di
coppia richiede di tener presente i modi con cui ciascuno vive la sessualità:
sarà
compito dell’uomo
correggere la sua tendenza prevalentemente alla libido impegnandosi nel
creare un clima
affettivo e tenero, in cui la donna si senta amata; sarà impegno della donna
correggere la sua
tendenza all’eros evitando di mortificare la dimensione virile del suo sposo; e
così via.
I
pilastri dell’armonia coniugale. L’accordo o armonia coniugale si gioca
fondamentalmente
su tre fattori:
Progetto
di vita impegnato. Non ci si può sposare solo perché ci si
piace o si è innamorati. È
necessario avere
un progetto di vita impegnato,
dei valori che
si condividono, degli obiettivi da
raggiungere, una visione
della vita comune, soprattutto (è il fattore più importante
per dei cristiani)
un sincero impegno
nella fede comune e nella vita di fede. Sul piano umano è questo il fattore più
decisivo per la
stabilità del matrimonio.
Affettività
matura, capace di oblatività e
reciprocità.
Si deve essere anche innamorati, ma
l’amore sentimento
va incanalato dentro una capacità effettiva di donarsi (oblatività): ti sto a
fianco
donandoti la vita
e l’amore che ho per te, sceglierò per te sempre il bene, vorrò il tuo bene, ti
farò
del bene... Niente
offese, niente mancanze di rispetto, apertura al dialogo fecondo, niente
prepotenze, niente
sterili egoismi…
Integrazione
della sessualità nell’affettività. È la dimensione corporea dell’amore, che
deve
essere sempre
vissuta dentro una cornice umana che renda gli atti sessuali sempre veicoli di
amore e di affetto, in modo tale che non si dia mai la percezione di
“usare”
l’altro come strumento per
il mio piacere.
Tre
tipi di matrimoni:
Matrimoni
solidi, sostanzialmente riusciti. Sono quelli in cui, grazie ad una buona
armonia
coniugale di base
ed alla gioia che ne consegue, si superano i normali conflitti. Sono case
costruite
sulla roccia.
Matrimoni
conflittuali, traballanti. I due non sono proprio pentiti di essersi
messi insieme, ma
spesso litigano,
battibeccano, fuggono in sogni impossibili (o in avventure momentanee). Alla
base
manca generalmente
qualcuno dei pilastri dell’armonia coniugale (progetto, valori,
visione della
vita, obiettivi)
e, sempre, una
vita cristiana vissuta e praticata.
Sono case costruite sulla sabbia,
destinate a
crollare.
Matrimoni
molto fragili, spesso falliti. Sono quelli basati solo sulla libido
o sull’eros, sul “mi
piace”, “mi
attrae”, “mi interessa”, privi di qualsiasi base solida. Sono come case senza
fondamenta.
La
coppia e il mondo esterno. La vita di coppia solida, segnata da una
profonda armonia
coniugale, si apre
con fiducia all’accoglienza ed alla capacità di tessere sane relazioni con
tutti. È
indispensabile
però la rottura evangelica con
le famiglie di origine, per proteggerne la solidità e la
stabilità. È
assolutamente proibito parlare dei problemi col coniuge con mamma e papà (ed
anche
con amici
superficiali) ed è necessario mettere dolcemente dei sani paletti qualora si
verifichino
indebite invasioni
di campo…
!49
14. IL RAPPORTO TRA LA COPPIA E I FIGLI: L’EDUCAZIONE DEI
FIGLI
ALCUNE
PREMESSE
Educare
è un termine che viene dal latino “educere”, che letteralmente significa “tirare fuori,
condurre fuori”.
Ciò significa che l’educazione non consiste tanto nel “mettere” qualcosa dentro
il
giovane, magari
qualcosa che a me piace o di cui sono convinto, ma nell’aiutare il giovane a
tirare
fuori tutto ciò
che di buono, bello, vero, nobile e giusto è in lui…
Alcuni
presupposti. Il compito educativo, formidabile, ma anche
molto difficile, ancor più
nelle attuali
congiunture storico-culturali, richiede alcuni requisiti imprescindibili,
necessari perché
si instauri il rapporto educativo,
senza il quale l’azione dell’educatore, oltre ad essere sicuramente sterile e
destinata al fallimento, nemmeno può iniziare ad essere svolta.
1. IL RAPPORTO EDUCATIVO
Disparità
dei piani. Papà e mamma non stanno sullo stesso piano
dei figli. Sembrerebbe
scontato, ma non
lo è. La “superiorità” di papà e mamma non significa autorizzazione
incondizionata ad
atteggiamenti autoritari stile “padre-padrone”, perché, ad immagine di quella
di
Gesù, è vissuta nell’amore,
con amore e per l’amore: il mio “essere di più di te” non è per
schiacciarti,
ma per servirti,
però c’è… Tutti gli atteggiamenti che contraddicono questo sono da evitare:
farsi
chiamare per nome
dai figli, permettere loro di mancare impunemente di rispetto, di alzare la
voce, di
disattendere con aria sprezzante quello che i genitori dicono, sono
atteggiamenti da
evitare
assolutamente…O frasi sciocche del tipo: “mia madre (o mio padre) sono i miei
migliori
amici”.
Coscienza
del ruolo. Quello che i genitori possono dare ai figli
è insostituibile; e nessuno potrà
farlo al posto
loro. Quello che io devo fare (che il Signore si attende da me) posso (e devo)
farlo
solo io, senza
sperare di poter effettuare comode deleghe a chicchessia… (parrocchia
compresa…).
Coscienza
dell’identità. Il padre ha un compito educativo distinto
dalla madre e viceversa. Il
padre (lo dicono
anche le scienze umane) dovrebbe rappresentare il “polo dell’autorità”, mentre
la
madre quello
dell’amore. Se per le debolezze degli sposi questo non c’è, bisogna adoperarsi
perché ci sia quanto prima… Il padre non deve assolutamente (come spesso
avviene) rendersi latitante o delegare tutto alla madre: deve essere presente e
prendersi, fino in fondo, i suoi compiti di padre. Deve “stare” coi figli,
giocare con loro, parlare con loro, essere affettuoso e presente, prima che “fare”
il padre; solo così la sua autorità sarà piena di autorevolezza.
La
vita prima della parola. La cosa che rende assai più agevole il
compito educativo è, tra le
varie “opere” che
si potrebbero citare, l’amore tra i genitori: è importantissimo che i figli vedano
e
percepiscano
anche dai gesti di affetto (ovviamente entro i limiti del lecito)
che papà e mamma si
amano,
si stimano,
si rispettano.
Questo eviterà di produrre quel brutto fenomeno che quando papà mi nega
qualcosa vado a piangere da mamma (e viceversa), che complica enormemente il
successo del rapporto educativo.
Importanza
fondamentale dei gesti e delle parole di affetto.
I genitori devono rendere
percepibile il
clima e l’atmosfera di amore non solo con i gesti e le (sane) effusioni
reciproche, ma
anche con i
gesti e le parole affettuose verso i figli. La mancanza di
essi, specialmente in tenera
infanzia, segna
profondamente (e talora irreversibilmente) la crescita sana ed integrale del
fanciullo.
2. IL MODO
DI EDUCARE (STILE
EDUCATIVO)
I pedagoghi,
soprattutto i santi pedagoghi (in primis San
Giovanni Bosco), raccomandano di
utilizzare il metodo preventivo, ricorrendo solo
in via eccezionale al metodo repressivo.
Con il
primo si educa motivando,
spiegando, persuadendo,
incoraggiando,
consigliando,
riconoscendo e
premiando
il bene. In altre parole si trasmettono valori,
che sono tali per un motivo ben preciso, che l’educatore spiega al fanciullo,
in maniera differente a seconda della sua età. Questo non esclude il ricorso
all’autorità: se ciononostante il fanciullo non obbedisce, è ribelle, etc. non
bisogna lasciar correre, perché la bontà si trasformerebbe in buonismo e la
dolcezza in debolezza: si può e si deve intervenire anche
con castighi e qualche scappellotto ben dato (senza chiaramente ammazzare nessuno);
ma non fare questo mai quando sono giunto
al limite della sopportazione, perché allora il fanciullo non percepisce il mio
intervento come correzione, ma come sfogo di ira. Non trasmetto né il valore né
l’amore, ma mi faccio, gratuitamente, odiare.
Il secondo metodo
è ben noto: non trasmette valori, ma regole,
imposte senza alcuna
spiegazione, con
la forma normale del “si fa così punto e basta;
si fa così perché te lo dico io”,
rifiutando la spiegazione e la motivazione, sottolineando di preferenza gli sbagli
commessi dal fanciullo e mai i pregi ed i riconoscimenti, e ricorrendo troppo
frequentemente e talora troppo violentemente alle vie di fatto. Tra il buonismo
e l’eccesso di severità, se proprio non si può fare di dover scegliere tra due
mali, il meno grave (e quello che produce meno danni) è l’eccesso di severità… C’è
purtroppo un ultimo “stile” (?) educativo, purtroppo oggi molto diffuso, che è
il sottrarsi ai
compiti educativi, compensando tale assenza con il dire sempre
sì e ricoprire i figli di ogni bene, regalo, vestito di marca etc., cose che
preparano, a seconda dei casi, un perfetto delinquente, un buono a nulla senza
spina dorsale, una persona totalmente irrispettosa, una signorina dai costumi fin
troppo spiccioli e facili. La verità è che per molti genitori, purtroppo,
l’educazione dei figli viene dopo molte altre cose: lavoro, carriera, sport,
divertimento, gioco, etc.
3. L’OGGETTO DELL’EDUCAZIONE
Al figlio vanno
trasmessi anzitutto i valori religiosi e
poi tutti i valori umani necessari
a fare di
lui un uomo ed una
donna veri.
Valori religiosi.
Sacra
Scrittura. Il libro del Deuteronomio dice: “Ascolta,
Israele: il Signore è il nostro Dio, il
Signore
è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima
e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel
cuore; li ripeterai ai tuoi figli,
ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando
ti coricherai e quando ti alzerai”.
Rito
del matrimonio. “Siete disposti ad accogliere
responsabilmente e con amore i figli che Dio
vorrà donarvi, e a
educarli secondo la legge di Cristo e della Chiesa?”.
Rito
del Battesimo. “Cari genitori, chiedendo il Battesimo per
vostro figlio, voi vi impegnate a
educarlo
nella fede, perché nell’osservanza
dei comandamenti, impari ad amare Dio e il
prossimo
come Cristo ci ha insegnato.
Siete consapevoli di questa responsabilità?”.
Costituzione
del Concilio Vaticano II “Gaudium et spes”. “I figli,
prevenuti dall’esempio dei
genitori e dalla preghiera
in famiglia, troveranno più facilmente la strada della
formazione umana, della salvezza e della santità. Quanto agli sposi, insigniti
della dignità e responsabilità di padre e di madre, adempiranno diligentemente
il dovere dell’educazione, soprattutto religiosa,
che spetta prima di ogni altro a
loro”.
L’esempio
dei genitori. Quanto detto per l’educazione in generale,
vale per l’educazione alla
fede: la prima
trasmissione della fede è quella dell’esempio. Se uno dei genitori non parla
mai di
Dio, non va mai a
Messa, o peggio bestemmia, mostra totale disinteresse, etc., ogni intervento
educativo è minato
alla radice. L’andare a Messa tutti insieme è il primo e più formidabile
esempio
che si possa in
questo senso dare.
La
preghiera in famiglia. Anche questa dimensione è, a dir poco,
decisiva. Durante il ritiro
conclusivo la
approfondiremo un poco.
La catechesi
familiare. I valori della fede ed i comandamenti
devono essere oggetto di
insegnamento
diretto da parte dei genitori (sempre prima con la vita, ma anche con la
parola), e
non solo da parte
della madre… Quando i figli arrivano in età preadolescenziale, è bene che il
padre con il
figlio e la madre con la figlia, in modo naturale, con discrezione ma anche con
chiarezza, parlino
di tutto ciò che attiene allo sviluppo sessuale, unitamente alla presentazione
del
disegno di Dio
sull’amore umano e sulla purezza… Il primo rapporto sessuale, in base ad una
recentissima
indagine dell’Eurispes, è sceso tra i 12 e i 14 anni…
“Spetta
prima di ogni altro a loro”. Come la Chiesa ci ricorda, l’educazione
alla fede spetta ai
genitori prima di
ogni altro: prima dei padrini, prima della Parrocchia, prima degli insegnanti
di
religione, prima
dei catechisti, prima dei gruppi giovanili ed ecclesiali…
Valori
umani: amore, senso della verità, senso profondo del dovere, della
lealtà, dell’amicizia,
della responsabilità, laboriosità, onestà, legalità, amore
alla famiglia, amore ai poveri, senso della
famiglia, senso
del sacrificio, capacità di rinunciare al proprio egoismo, di collaborare;
buona
educazione, buoni
modi di vivere le relazioni, garbo, cordialità, cortesia, e soprattutto un
profondissimo
rispetto. I figli apprenderanno questi valori in base a come i genitori si
tratteranno
vicendevolmente
davanti a loro.
4. RACCOMANDAZIONI CONCLUSIVE
Alcune
cose da curare in particolare. Ogni intervento educativo deve essere fatto
con amore e
per amore, ed il
figlio lo deve percepire.
È fondamentale la gratificazione dei
meriti, che va
sempre fatta, evitando al minimo (ma quando è
necessario va fatto) la correzione degli errori, che
deve essere fatta
percepire come atto di amore. Fondamentale è anche l’amore e l’accordo tra i
coniugi.
Alcune
cose da evitare. Mai e per nessun motivo un
genitore deve contraddire l’altro mentre
questi sta
correggendo o riprendendo un figlio; mai e per nessun motivo si devono fare
alleanze
col figlio al fine
di fare qualche sotterfugio contro l’altro genitore (“poi
quando tuo padre va via…”);
non si devono
accettare intromissioni da parte di zii e nonni (né di nessun altro) nelle
scelte
educative, salvo
chiaramente confrontarsi con altri modi di vedere ed educare nei luoghi e nelle
sedi opportune.
Rispetto
dei ruoli. Il fatto che mamma e papà siano “mamma e
papà”, significa fare in modo
di evitare che si
creino quelle assurde situazioni (oggi frequentissime) dei “figli
dittatori”: ovvero di
figli la cui
sovranità in casa è assoluta. Basta un piccolo pianto e tutti sono al loro
servizio… I figli
devono, al
più presto, andare a dormire in camera loro, perché devono
capire che mamma e papà hanno una loro vita e intimità in cui loro non possono
entrare; non bisogna cedere facilmente ai loro capricci, ma saper dire senza
paura i sani “no”. Un pericolo molto frequente è che le donne, al sopravvenire
dei figli, si lascino totalmente polarizzare dall’affetto verso di loro,
trascurando i
mariti: è questo
un altro esempio di potere “abnorme” acquisito dal figlio, che deve essere
assolutamente
evitato, anche perché altrimenti il padre amerà molto meno il figlio, perché
sarà
(come è ovvio)
geloso di lui…
I
nonni. Non
si devono far crescere i figli con i nonni. I nonni infatti
viziano i loro nipoti, ed è
naturale che lo
facciano. Per quanto oggi il mondo sia cambiato, ci sia il lavoro e tutto
quello che si
vuole, è
necessario essere coscienti di un punto: i figli devono crescere il più
possibile con i
genitori, e stare
con i nonni il meno possibile. In caso di necessità (vera e non evitabile),
dovendo
lasciare a
qualcuno i figli, l’asilo nido è altamente preferibile allo stare sempre con i
nonni, perché lì
almeno il
fanciullo impara a relazionarsi con i suoi pari (e quindi capisce che non può
fare tutto
quello che vuole e
non tutti stanno al suo servizio) e con una figura educativa che, seppur
diversa
dalla madre, non
ha però il compito istituzionale di viziarlo…
Da
ricordare. Con i figli vale più che mai il proverbio
evangelico: “quello che si semina si
raccoglie” o, se
si preferisce la sua variante popolare, “quello che si fa si ritrova”…
15. LA PREGHIERA IN FAMIGLIA
Pregare
anche insieme. Due sposi cristiani, che già hanno (si
spera!) in quanto figli di Dio una
loro vita
personale di preghiera ed un loro rapporto con Dio, devono imparare anche a
pregare
insieme. L’unità
di vita totale che costituiscono richiede infatti anche la condivisione di ciò
che è il
bene più prezioso:
Dio.
Insegnare
a pregare ai figli e pregare con i figli. I genitori devono
insegnare a pregare ai figli,
prima con
l’esempio e poi con la vita. Ed il padre non
deve delegare questo alla madre: Giovanni
Paolo II racconta
la sua impressione nel vedere tutte le sere suo padre inginocchiato ai piedi
del
letto prima di
coricarsi. Vale più una tale testimonianza che 100.000 prediche…
La
benedizione ai figli. Al mattino e prima della sera, è bene che
il padre benedica, con parole
molto semplici, i
suoi figli, imponendogli le mani e benedicendolo con il segno di croce. I
bambini
sono molto colpiti
da ciò e cominciano a percepire Dio come “un familiare aggiunto in posizione
principale”….
Preghiere
del mattino e della sera. Sono chieste ad un cristiano, insieme alla
Messa
domenicale, come
il minimo indispensabile. Vanno dunque fatte sempre ed insegnate ai figli con
amore. Sarebbe
bellissimo trovare cinque minuti la mattina e la sera per recitarle insieme.
Benedizione
prima dei pasti. La preghiera, abbiamo visto, è
ringraziamento e intercessione. Il
cibo, come
sappiamo, è dono di Dio, e di questo Lo si deve ringraziare, ricordandosi
anche, prima
di cominciare a
mangiare, di chi purtroppo muore di fame e supplicando l’Altissimo di
provvedere
anche a loro.
Partecipazione
alla santa Messa insieme. Appena i bambini cominciano a capire qualcosa
e
purché stiano
buoni bisogna portarli a Messa con sé, prima che comincino a frequentare il
catechismo, in
modo da comprendere che andarci è un fatto ordinario, naturale e necessario e
non
legato al
catechismo, come una sorta di “tassa ulteriore” o di “tempo supplementare”….
Rosario
in famiglia. Sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI lo
hanno più volte, caldamente e
reiteratamente
raccomandato. Il Rosario in famiglia è una calamita che attira benedizioni su
benedizioni e
protegge la famiglia dagli innumerevoli assalti in cui è soggetta in questo
tempo.
Trovare venti
minuti per recitarlo non è la fine del mondo. Tutto sta a volerlo, ricordando
bene le
parole di santa
Teresa: ci vuole una ferma risoluzione e un grande amore, come per tutte le
cose
che riguardano Dio
e la preghiera. Una famiglia che prega insieme e che frequenta i sacramenti è
una casa costruita
sulla roccia, incrollabile. Una famiglia che non prega e non insegna ai figli a
pregare è debole e
fragile: il diavolo ci mette ben poco a distruggerla. Da questi due elementi
(preghiera in
comune e sacramenti in comune) dipende la stabilità e la riuscita di ogni
famiglia
cristiana, nonché
la rispondenza alla sua missione di essere una piccola Chiesa domestica…
6. LE TRE MENSE DELLA VITA CONIUGALE
Le
tre mense di cui vive l’amore coniugale. Il matrimonio,
come ormai sappiamo, è il
sacramento
dell’amore, un amore non semplicemente erotico (=
egoistico), ma, come ci ricorda
Benedetto XVI
nella sua enciclica “Deus amor est”,
“agapico”
(= che si dona all’altro senza riserve). Vivere la vita coniugale è dunque
scegliere di servire incondizionatamente il
coniuge ed i figli: cioè senza limiti di tempo, senza condizioni (qualunque
cosa faccia l’altro) e senza risparmiarsi (accogliendo la dimensione della croce
nella vita coniugale, ovvero la capacità di sacrificarsi per il bene
dell’altro). È per questo che un tale stato di vita ha un sacramento proprio e
specifico: perché per vivere questo ci vuole la grazia di Dio. Ma questa grazia
– e l’amore coniugale che da essa trae forza – va alimentata con cura e
costanza, altrimenti l’amore coniugale si va via via indebolendo
fino addirittura
nei casi più gravi a morire. Fin dai primi secoli della Chiesa sono state
individuate
tre mense a cui si
nutre l’amore coniugale: la tavola, il talamo nuziale e la mensa eucaristica.
La
tavola. Mangiare insieme (come minimo una volta al
giorno e con la televisione spenta, tanto
si può accendere
dopo…) significa avere un momento riservato al dialogo
reciproco e con i figli:
parlare con una
persona è farla sentire viva ed amata (tant’è vero che quando si litiga si
toglie la
parola all’altro)
così come ascoltare (anche quando ciò che si ascolta non ci interessa…)
significa
amare realmente
una persona… L’amore si nutre anzitutto della capacità di dialogare.
Il
talamo nuziale. Il talamo è la mensa dell’amore
“celebrato”. L’importanza dei gesti coniugali
la si capisce dal
fatto che, fino a quando non si è compiuto l’atto coniugale, il sacramento del
matrimonio ancora
non è indissolubile. Il talamo deve essere “frequentato” in
maniera santa (con il
coniuge si fa
“l’amore”, non si fa “sesso”), in maniera conforme alla legge morale (senza
usare
metodi
contraccettivi illeciti), senza rifiutarsi senza un motivo serio al coniuge
(cosa che produce
profonde ferite)
ed avendo cura che, anche nel modo di porre in essere l’atto, si riesca a
vivere e far
percepire un clima
di amore ed affetto autentici. È questa un’altra dimensione essenziale per la
conservazione e la
crescita dell’amore coniugale.
L’eucaristia
sorgente fontale dell’amore coniugale. L’amore sponsale è amore agapico, che
chiede di uscire
da se stessi per andare verso l’altro. Ma l’uomo, purtroppo, sente in sé una
non
lieve difficoltà a
vivere questo, perché la sua natura è debole e ferita dalla Colpa d’origine e
da
quelle personali,
ciascuna delle quali concorre ad accrescere l’egoismo e l’amor proprio.
L’eucaristia è il
sacramento dell’Amore con la “A” maiuscola, perché in esso si rinnova il
sacrificio
totale che Gesù ha
fatto di sé sulla croce ed esso viene comunicato a chi vi partecipa. Senza
eucaristia,
dunque, non si può vivere l’autentico amore coniugale.
!
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