I. La misericordia e il peccato
Dopo aver trattato il combattimento che il cristiano deve
affrontare, mi sembra doveroso puntare l’attenzione su cosa sia il peccato per
poter decretare la nostra vittoria.
Il Vangelo è la rivelazione, in Gesù Cristo, della
misericordia di Dio verso i peccatori. L'angelo lo annunzia a
Giuseppe: « Tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi
peccati » (Mt 1,21). La stessa cosa si può dire dell'Eucaristia,
sacramento della redenzione: « Questo è il mio sangue dell'alleanza, versato
per molti, in remissione dei peccati » (Mt 26,28).
« Dio, che ci ha creati senza di noi, non ha
voluto salvarci senza di noi ». L'accoglienza della sua
misericordia esige da parte nostra il riconoscimento delle nostre colpe. « Se
diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in
noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto ci perdonerà
i peccati e ci purificherà da ogni colpa » (1 Gv 1,8-9).
Come afferma san Paolo: « Laddove è abbondato il
peccato, ha sovrabbondato la grazia » (Rm 5,20).
La grazia però,
per compiere la sua opera, deve svelare il peccato per convertire il nostro
cuore e accordarci « la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo
nostro Signore » (Rm 5,21). Come un medico che esamina la piaga
prima di medicarla, Dio, con la sua Parola e il suo Spirito, getta una viva
luce sul peccato:
« La conversione richiede la convinzione
del peccato, contiene in sé il giudizio interiore della coscienza, e
questo, essendo una verifica dell'azione dello Spirito di verità nell'intimo
dell'uomo, diventa nello stesso tempo il nuovo inizio dell'elargizione della
grazia e dell'amore: "Ricevete lo Spirito Santo". Così in questo
"convincere quanto al peccato" scopriamo una duplice
elargizione: il dono della verità della coscienza e il dono della certezza
della redenzione. Lo Spirito di verità è il Consolatore ».
Il peccato è una mancanza contro la ragione, la
verità, la retta coscienza; è una trasgressione in ordine all'amore vero, verso
Dio e verso il prossimo, a causa di un perverso attaccamento a certi beni. Esso
ferisce la natura dell'uomo e attenta alla solidarietà umana. È stato definito
« una parola, un atto o un desiderio contrari alla Legge eterna ».
Il peccato è un'offesa a Dio: « Contro di te,
contro te solo ho peccato. Quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto » (Sal 51,6).
Il peccato si erge contro l'amore di Dio per noi e allontana da lui i nostri
cuori. Come il primo peccato, è una disobbedienza, una ribellione contro Dio, a
causa della volontà di diventare « come Dio » (Gn 3,5), conoscendo
e determinando il bene e il male. Il peccato pertanto è « amore di sé fino al
disprezzo di Dio ». Per tale orgogliosa esaltazione di
sé, il peccato è diametralmente opposto all'obbedienza di Gesù, che realizza la
salvezza.
È proprio nella passione, in cui la misericordia
di Cristo lo vincerà, che il peccato manifesta in sommo grado la sua violenza e
la sua molteplicità: incredulità, odio omicida, rifiuto e scherno da parte dei
capi e del popolo, vigliaccheria di Pilato e crudeltà dei soldati, tradimento
di Giuda tanto pesante per Gesù, rinnegamento di Pietro, abbandono dei
discepoli. Tuttavia, proprio nell'ora delle tenebre e del principe di questo
mondo, il sacrificio di Cristo diventa segretamente la
sorgente dalla quale sgorgherà inesauribilmente il perdono dei nostri peccati.
La varietà dei peccati è grande. La Scrittura ne dà
parecchi elenchi. La lettera ai Gàlati contrappone le opere della carne al
frutto dello Spirito: « Le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria,
stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni,
invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi
preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio »
(Gal 5,19-21).
I peccati possono essere distinti secondo il
loro oggetto, come si fa per ogni atto umano, oppure secondo le virtù alle
quali si oppongono, per eccesso o per difetto, oppure secondo i comandamenti
cui si oppongono. Si possono anche suddividere a seconda che riguardino Dio, il
prossimo o se stessi; si possono distinguere in peccati spirituali e carnali, o
ancora in peccati di pensiero, di parola, di azione e di omissione. La
radice del peccato è nel cuore dell'uomo, nella sua libera volontà, secondo
quel che insegna il Signore: « Dal cuore [...] provengono i propositi malvagi,
gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze,
le bestemmie. Queste sono le cose che rendono immondo l'uomo » (Mt 15,19-20).
Il cuore è anche la sede della carità, principio delle opere buone e pure, che
il peccato ferisce.
È opportuno valutare i peccati in base alla loro
gravità. La distinzione tra peccato mortale e peccato veniale, già adombrata
nella Scrittura, si è imposta nella Tradizione della
Chiesa. L'esperienza degli uomini la convalida.
Il peccato mortale distrugge la
carità nel cuore dell'uomo a causa di una violazione grave della Legge di Dio;
distoglie l'uomo da Dio, che è il suo fine ultimo e la sua beatitudine,
preferendo a lui un bene inferiore.
Il peccato veniale lascia sussistere
la carità, quantunque la offenda e la ferisca.
Il peccato mortale, in quanto colpisce in noi il
principio vitale che è la carità, richiede una nuova iniziativa della
misericordia di Dio e una conversione del cuore, che normalmente si realizza
nel sacramento della Riconciliazione:
« Quando la volontà si orienta verso una cosa di per
sé contraria alla carità, dalla quale siamo ordinati al fine ultimo, il
peccato, per il suo stesso oggetto, ha di che essere mortale [...] tanto se è
contro l'amore di Dio, come la bestemmia, lo spergiuro, ecc., quanto se è
contro l'amore del prossimo, come l'omicidio, l'adulterio, ecc. [...] Invece,
quando la volontà del peccatore si volge a una cosa che ha in sé un disordine,
ma tuttavia non va contro l'amore di Dio e del prossimo — è il caso di parole
oziose, di riso inopportuno, ecc. —, tali peccati sono veniali ». Perché
un peccato sia mortale si richiede che
concorrano tre condizioni:
·
« È peccato mortale quello che ha
per oggetto una materia grave,
·
viene commesso con piena consapevolezza
·
deliberato consenso ».
La materia grave è precisata dai
dieci comandamenti, secondo la risposta di Gesù al giovane ricco: « Non
uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza,
non frodare, onora il padre e la madre » (Mc 10,19). La
gravità dei peccati è più o meno grande: un omicidio è più grave di un furto.
Si deve tenere conto anche della qualità delle persone lese: la violenza
esercitata contro i genitori è di per sé più grave di quella fatta ad un
estraneo. Perché il peccato sia mortale deve anche essere commesso con piena
consapevolezza e pieno consenso. Presuppone la conoscenza del carattere
peccaminoso dell'atto, della sua opposizione alla Legge di Dio. Implica inoltre
un consenso sufficientemente libero perché sia una scelta personale.
L'ignoranza simulata e la durezza del cuore non diminuiscono
il carattere volontario del peccato ma, anzi, lo accrescono.
L'ignoranza involontaria può attenuare se
non annullare l'imputabilità di una colpa grave. Si presume però che nessuno
ignori i principi della legge morale che sono iscritti nella coscienza di ogni
uomo. Gli impulsi della sensibilità, le passioni possono ugualmente attenuare
il carattere volontario e libero della colpa; come pure le pressioni esterne o
le turbe patologiche. Il peccato commesso con malizia, per una scelta
deliberata del male, è il più grave.
Il peccato mortale è una possibilità radicale
della libertà umana, come lo stesso amore. Ha come conseguenza la perdita della
carità e la privazione della grazia santificante, cioè dello stato di grazia.
Se non è riscattato dal pentimento e dal perdono di Dio, provoca l'esclusione
dal regno di Cristo e la morte eterna dell'inferno; infatti la nostra libertà
ha il potere di fare scelte definitive, irreversibili. Tuttavia, anche se
possiamo giudicare che un atto è in sé una colpa grave, dobbiamo però lasciare
il giudizio sulle persone alla giustizia e alla misericordia di Dio. Si
commette un peccato veniale quando, trattandosi di materia
leggera, non si osserva la misura prescritta dalla legge morale, oppure quando
si disobbedisce alla legge morale in materia grave, ma senza piena
consapevolezza o senza totale consenso. Il peccato veniale indebolisce
la carità; manifesta un affetto disordinato per dei beni creati; ostacola i
progressi dell'anima nell'esercizio delle virtù e nella pratica del bene
morale; merita pene temporali. Il peccato veniale deliberato e che sia rimasto
senza pentimento, ci dispone poco a poco a commettere il peccato mortale. Tuttavia il peccato veniale non rompe
l'alleanza con Dio. È umanamente riparabile con la grazia di Dio. « Non priva
della grazia santificante, dell'amicizia con Dio, della carità, né quindi della
beatitudine eterna ».« L'uomo non può non avere almeno peccati lievi, fin
quando resta nel corpo. Tuttavia non devi dar poco peso a questi peccati, che
si definiscono lievi. Tu li tieni in poco conto quando li soppesi, ma che spavento
quando li numeri! Molte cose leggere, messe insieme, ne formano una pesante:
molte gocce riempiono un fiume e così molti granelli fanno un mucchio. Quale
speranza resta allora? Si faccia anzitutto la Confessione... ». «
Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia
contro lo Spirito non sarà perdonata » (Mt 12,31). La
misericordia di Dio non conosce limiti, ma chi deliberatamente rifiuta di
accoglierla attraverso il pentimento, respinge il perdono dei propri peccati e la
salvezza offerta dallo Spirito Santo. Un tale indurimento può
portare alla impenitenza finale e alla rovina eterna.
Il peccato trascina al peccato; con la
ripetizione dei medesimi atti genera il vizio. Ne derivano inclinazioni
perverse che ottenebrano la coscienza e alterano la concreta valutazione del
bene e del male. In tal modo il peccato tende a riprodursi e a rafforzarsi, ma
non può distruggere il senso morale fino alla sua radice.
I vizi possono essere catalogati in parallelo
alle virtù alle quali si oppongono, oppure essere collegati ai peccati
capitali che l'esperienza cristiana ha distinto, seguendo san Giovanni
Cassiano e san Gregorio Magno. Sono chiamati
capitali perché generano altri peccati, altri vizi. Sono la superbia,
l'avarizia, l'invidia, l'ira, la lussuria, la golosità, la pigrizia o accidia.
La tradizione catechistica ricorda pure che
esistono « peccati che gridano verso il cielo ». Gridano verso
il cielo: il sangue di Abele; il peccato dei Sodomiti; il
lamento del popolo oppresso in Egitto; il lamento del
forestiero, della vedova e dell'orfano; l'ingiustizia
verso il salariato.
Il peccato è un atto personale. Inoltre,
abbiamo una responsabilità nei peccati commessi dagli altri, quando vi
cooperiamo:
— prendendovi parte direttamente e
volontariamente;
— comandandoli, consigliandoli, lodandoli o approvandoli;
— non denunciandoli o non impedendoli, quando si è tenuti a farlo;
— proteggendo coloro che commettono il male.
— comandandoli, consigliandoli, lodandoli o approvandoli;
— non denunciandoli o non impedendoli, quando si è tenuti a farlo;
— proteggendo coloro che commettono il male.
Così il peccato rende gli uomini complici gli
uni degli altri e fa regnare tra di loro la concupiscenza, la violenza e
l'ingiustizia. I peccati sono all'origine di situazioni sociali e di
istituzioni contrarie alla bontà divina. Le « strutture di peccato » sono espressione
ed effetto dei peccati personali. Inducono le loro vittime a commettere, a loro
volta, il male. In un senso analogico esse costituiscono un « peccato sociale
».
« Dio [...] ha
rinchiuso tutti nella disobbedienza per usare a tutti misericordia » (Rm11,32). Il
peccato è « una parola, un atto o un desiderio contrari alla
Legge eterna ». È un'offesa a Dio. Si erge
contro Dio in una disobbedienza contraria all'obbedienza di Cristo. Il peccato
è un atto contrario alla ragione. Ferisce la natura dell'uomo ed attenta alla
solidarietà umana. La radice di tutti i peccati è nel cuore dell'uomo. Le
loro specie e la loro gravità si misurano principalmente in base al loro
oggetto. Scegliere deliberatamente, cioè sapendolo e volendolo, una cosa
gravemente contraria alla Legge divina e al fine ultimo dell'uomo è commettere
un peccato mortale. Esso distrugge in noi la carità, senza la quale la
beatitudine eterna è impossibile. Se non ci si pente, conduce alla morte
eterna. Il peccato veniale rappresenta un disordine morale riparabile per
mezzo della carità che tale peccato lascia sussistere in noi. La
ripetizione dei peccati, anche veniali, genera i vizi, tra i quali si
distinguono i peccati capitali.
(Tratto dal Catechismo della Chiesa Cattolica)
Nessun commento:
Posta un commento