venerdì 24 gennaio 2014
Il cammino umano e spirituale che, in un discepolo, l’assunzione di responsabilità esige
SEBASTIANO FASCETTA ci spiega come deve essere la strada per essere un vero Cristiano, un cammino senz' altro difficile ma ricco di gioia interiore , di pace e amore:
Il santo è l’uomo nuovo, quello che vive seguendo le tracce lasciate da Gesù Cristo;
è l’uomo delle beatitudini; è l’uomo che, spogliatosi del proprio egoismo, vive per
Dio e per gli altri; è l’uomo trasfigurato. È l’uomo veramente e pienamente
umano." René Coste
Santo è “ l’uomo nuovo” ( Renè Coste) che non si rifugia in una sorta di spiritualismo
per collocarsi al di fuori della condizione umana, bensì colui che, sull’esempio di
Cristo, vive pienamente la dimensione umana < Dio si è fatto uomo perché l’uomo
diventi veramente uomo>. L’apostolo Paolo afferma nella lettera a Tito che Gesù è
venuto per “insegnarci a vivere in questo mondo” ( cfr Tito 2,11); è venuto non solo
a liberarci dalla condizione di peccato e da tutto ciò che disumanizza l’esistenza
umana, ma anche ad insegnarci a vivere umanamente per essere corrispondenti al
progetto di Dio.
Gesù, come afferma la prima lettera di Pietro, ci ha lasciato le tracce, l’esempio (cfr 1
Pt 2,22), perché anche noi, come umili discepoli, possiamo imparare da Lui l’arte di
vivere un’esistenza bella, buona e felice. Come Gesù siamo chiamati crescere in
“sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” ( Lc 2,52). La sapienza è l’arte
del vivere e riguarda l’esperienza; l’età indica il rapporto con il tempo e la propria
corporeità; la grazia l’azione misericordioso di Dio. In definitiva sono queste le
componenti che costituiscono l’essere umano: l’esperienza/la quotidianità, la
corporeità, la fede. Il dato comune a questi ambiti umani è la relazione, infatti,
crescere umanamente e spiritualmente significa sviluppare la dimensione relazionale,
che è propria dell’esistenza umana, con Dio ( la fede), con se stessi, con gli altri, con
le cose.
Essere discepoli significa, nella sua accezione letterale , “ mette i piedi sull’orme del
maestro” avere lo stesso passo del maestro, percorre il medesimo itinerario. Per
questo motivo, non è sufficiente dirsi cristiani se non camminiamo/viviamo secondo lo
Spirito (cfr Gal 5,25) e non ci lasciamo “guidare “ da Lui ( cfr Rm 8,15) assecondo i
“desideri “ di Dio (cfr Rm 8).
Il vangelo di Giovanni dichiara, in maniera eloquente, la condizione umana di Gesù
quando, nel contesto della sua passione, afferma: Ecco l’uomo” ( Gv 19,5). Si tratta di
una testimonianza straordinaria - presente anche nei Vangeli sinottici come ad
esempio nel vangelo di Marco quando il centurione avendo visto Gesù crocifisso <
spirare in quel modo, disse: Davvero quest’uomo era Figlio di Dio> ( Mc 14,38) –
perché sottolinea il fatto che solo accogliendo l’uomo Gesù si possono riconoscere i
tratti della sua divinità.
A tal proposito afferma il biblista Bruno Maggioni < c'è la tentazione, opposta, antica
quanto il cristianesimo stesso: quella di sminuire l'umanità di Gesù, considerandola
una sorta di involucro che contiene – e nasconde- la sua divinità. Questi credenti
parlano con entusiasmo dei tratti divini di Gesù: i suoi miracoli, la sua risurrezione,
il suo amore per tutti. Ma sono come esitanti quando i vangeli raccontano la sua
tentazione, l'angoscia, la paura e il turbamento di fronte alla morte, le sue
domande...L'umanità di Gesù ha un valore teologico irrinunciabile, perché e la
trasparenza del volto di Dio, non l'involucro che lo nasconde..I tratti umani di Gesù
sono importanti non soltanto per conoscere l'uomo Gesù, né soltanto per conoscere il
lato divino della sua persona. Non basta credere che Gesù è Messia e Figlio. Quale
Messia? Quale Figlio? La novità del volto di Dio cristiano è rivelata dall'umanità di
Gesù.> .
L'umanizzazione è il vero compito e la vera missione che siamo chiamati a realizzare
sino all'ultimo respiro. Secondo il libro della Genesi, l'affermazione di Dio “ facciamo
l'uomo a nostra immagine e somiglianza” non è, nell'intenzione dell'autore biblico, un
riferimento alla Trinità, ma il dialogo che Dio stabilisce con la creatura.
Quel “facciamo” implica la responsabilità dell'uomo a divenire sempre più somigliante
al Dio vivente. Infatti, secondo la tradizione della Chiesa, ogni essere umano è ad
immagine di Dio, nonostante il peccato, ma a motivo della grazia è chiamato a divenire
somigliante a Dio. Il cammino di somiglianza a Dio, che è il senso pieno della
condizione umana, non è affidato ai nostri deliri di onnipotenza, ma è stato tracciato
oggettivamente da Cristo Gesù, vero uomo e vero Dio.
Gesù si è fatto “carne” ( cfr Gv 1,14) cioè ha assunto la debolezza, la fragilità umana;
si è fatto simile a noi fuorché nel peccato. La lettera agli Ebrei testimonia che Gesù,
sommo Sacerdote, si è rivestito della nostra debolezza (cfr Eb 5,2). L'apostolo Paolo,
nella lettera ai Filippesi 2,5-11, offre le tracce più significative dell'itinerario che Gesù
ha consegnato ogni persona in vista del cammino di umanizzazione e, così, poter
essere santo come Dio è Santo: < egli, pur essendo nella condizione di Dio,non
ritiene un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una
condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall'aspetto riconosciuto come
uomo, umiliò stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce> ( Fil
2,5-7).
Gesù pur essendo “ nella condizione di Dio non ritenne un privilegio l'essere come
Dio” ( cfr Fil 2,6), non considerò lo stato di uguaglianza a Dio come “preda”, usando
la sua divinità come un diritto o un potere contro l'umanità.
E' questa la prima e fondamentale tappa che Gesù Cristo ci consegna per intraprendere
il cammino di umanizzazione: la piena assunzione della nostra condizione creaturale.
La Gaudium et Spes ben sintetizza la dimensione umana di Gesù quando afferma < in
Lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata per ciò stesso
essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime. Con l'incarnazione il Figlio
di Dio si è unito in un certo modo a ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha
pensato con intelligenza d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore
d'uomo. Nascendo da Maria vergine, egli è fatto veramente uno di noi, in tutto simile
a noi fuorché il peccato.> ( n.22).
La libertà di Gesù dalla possibilità demoniaca di usare la divinità come un potere
contro l'umanità è la risposta che rivolge al Tentatore che, invece, lo incinta ad
esercitare i poteri divini per superare la limitatezza creaturale.
Come attesta l'evangelista Marco (1, 12-13) Gesù vincendo la tentazione manifesta,
nella fedeltà alla condizione creaturale, l'armonia tra il cielo ( gli angeli lo servivano) e
la terra ( stava con le bestie selvatiche), vero Adamo ( cfr Rm 5,12-19). Se, infatti, il
“vecchio” Adamo fu succube della proposta perversa del “serpente” e decise di
appropriarsi della divinità ( cfr Gn 3,1ss), Gesù, nuovo Adamo, spogliandosi della sua
condizione divina ( kenosis), si fa pienamente solidale alla condizione umana, diventa
uomo come noi.
E' nella condizione umana, storica, che si realizza la relazione tra il divino e l'umano.
L'apice di questo incontro trova la sua piena realizzazione nel mistero
dell'incarnazione. La volontà di Dio, il suo progetto d'amore manifestatosi in Gesù
Cristo ( cfr Gv 3,15), è la nostra santificazione ( cfr 1 Ts 4,3) che consiste nel
glorificare il Signore nel nostro corpo ( cfr 1 Cor 6,20).
L'apostolo afferma nella lettera ai Romani che il vero culto spirituale consiste
nell'offrire i “corpi come sacrificio santo e a Dio gradito” ( cfr Rm 12,2) cioè la nostra
vita umana. Tutto ciò che riguarda la vita spirituale è ontologicamente destinata
all'incarnazione, a diventare vita, realtà umana, comportamento, atteggiamento, stile di
vita. Per questo motivo , afferma S. Weil < Non è dal modo in cui un uomo parla di
Dio,ma nel modo in cui parla delle cose terrestri che si può meglio discernere se la
sua anima ha soggiornato nel fuoco dell'amore di Dio>
Essere pienamente uomini e donne significa “essere come Dio” a sua immagine e
somiglianza, questa è la nostra vocazione da realizzare come privilegio ma come
responsabilità, servizio.
Il privilegio si base sul principio dell'essere serviti, sul principio del dominio sugli altri,
mentre la responsabilità si basa sul principio del servizio della ricerca del bene altrui.
La logica del “privilegio” determina uno stile di vista egocentrico (egolatria); la logica
del servizio mette al centro l'altro da sè.
ALCUNE TAPPE DELLA MATURITA' UMANA PER CRESCERE NEL
SENSO DI FIDUCIA
Per comprendere il processo di maturità umana del discepolo è opportuno considerare
quattro tappe significative della crescita nel senso di fiducia e di stima che ogni persona
deve avere di sé stessa per poi mettersi a disposizione degli altri.
1. Vivere all'insegna della gratuità. Per raggiungere un grado di stima personale è
proficuo non lasciarsi schiacciare dalle varie problematiche esistenziali ripiegandosi su
sé stessi così da essere soffocati e appesantiti da sentimenti di angoscia, di ansia
aggravando ulteriormente il sentimento di disistima e di smarrimento. E' consigliabile,
invece di concentrarsi sui problemi alla ricerca di possibili soluzioni, spostare
l'attenzione altrove per “vivere esperienze all'insegna della gratuità” e stabilire
relazioni interpersonali umanamente buone.
La disponibilità a vivere esperienze “ all'insegna della gratuità” fa sì che si giunge a
riconosce la propria vita come degna di valore e di stima, nonostante gli inevitabili
limiti. La situazione di disistima può diventare possibilità di apertura agli altri
favorendo atteggiamenti nuovi e positivi. Per essere concreti, la persona
particolarmente timida consapevole dell’importanza che rappresenta per l’ascolto e
l’attenzione da parte degli altri, proprio a partire da tale sensibilità può essere disposto
più della persona sicura di sè all'ascolto e all'attenzione nei riguardi degli altri.
Paradossalmente proprio chi è consapevole delle proprie debolezze e povertà può
essere capace di fare gesti di autentica generosità e gratuità a differenza di chi si ritiene
perfetto, autosufficiente, ricco, potente. I Vangeli, da questo punto di vista, attestano
la capacità dei poveri, dei piccoli, dei deboli, di compiere atti di grande generosità
come nel caso della povera vedova che dona tutto quello che aveva per vivere ( Mc
12,44). In realtà “ solo chi è povero, chi non pretende di possedere e riconosce con
gratitudine ciò che riceve, può veramente donare, anzi diventa dono”.
La possibilità di recuperare la stima di sé è data dalla relazione con gli altri e non
dall'isolamento dagli altri. Si perviene a una buona stima di sé proprio quando non ci si
preoccupa di raggiungerla e ci si apre alla relazione con gli altri, ci si lascia interpellare
dai bisogni altrui donandosi, mettendosi a disposizione nonostante i limiti, le difficoltà.
Nel momento in cui la persona si decentra da sé, prende le distanze dalla propria
condizione e si apre all'altro ritrova il senso vero della propria esistenza.
2. Consapevoli della propria unicità. Altro modo per giungere a recuperare il senso
della stima di sé consiste nel recuperare un atteggiamento di fiducia verso sé stessi
consapevoli della propria unicità. Ogni persona è unica e irripetibile, unica e
insostituibile. Ogni essere umano è creato da Dio, è una “parola di Dio incarnata”.
Ogni singolo uomo, ha scritto Martin Buber < è cosa nuova nel mondo e deve portare
a compimento la propria natura in questo mondo. Perché, in verità, che questo non
accada è ciò che ritarda la venuta del Messia. Ciascuno è tenuto a sviluppare e dar
corpo proprio a questa unicità e irripetibilità, non invece a rifare ancora una volta
ciò che un altro – fosse pure la persona più grande – ha già realizzato. Quand'era
vecchio e cieco, il saggio Rabbi Bunam disse un giorno: “ Non vorrei barattare il
mio posto con quello del padre Abramo. Che ne verrebbe a Dio se il patriarca
Abramo diventasse come il cieco Bunam e il cieco Bunam come Abramo? La stessa
idea è stata espressa da Rabbi Sussja che, in punto di morte, esclamò: “ Nel mondo
futuro non mi si chiederà: Perché non sei stato Mosè?; mi si chiederà invece: Perché
non sei stato Sussja?...Il Baal-Shem dice: Ognuno si comporti conformemente al
grado che è il suo. Se non avviene così, e uno si impadronisce del grado del
compagno e si lascia sfuggire il proprio, non realizzerà né l'uno né l'altro.>
3. Riconciliarsi con le proprie ombre. Chi riesce ad accettare i propri limiti, a
riconoscere i propri errori dimostra di avere una buona stima di sé. L'essere umano non
è una realtà uniforme bensì complesso, fatto di razionalità e di sentimenti, di luci e di
ombre, di gioia e di tristezza, di amore e di aggressività. Chi cerca di privilegiare solo
un aspetto della propria realtà, come ad esempio la parte razionale oppure quella
sentimentale, dimostra di vivere in maniera disgregata la propria condizione umana e,
soprattutto, di essere profondamente debole, instabile. Chi non assume la propria
unicità non fa altro che rimuovere alcune dimensioni importanti del proprio vissuto,
della propria biografica, della propria memoria, interiorità, perdendo il controllo sulla
propria vita. La vita ci porta inevitabilmente a prendere atto delle nostre ombre che si
manifestano, sfuggendo al nostro controllo, attraverso il corpo, le parole, i gesti, le
emozioni.
Conoscere le proprie ombre ed affrontarle significa gestirle intraprendendo un
cammino di consapevolezza e di guarigione del proprio mondo interiore. Come
insegnano le scienze umane, la persona raggiunge la propria ombra quando raggiunge
il proprio sé, cioè le profondità del proprio essere. L'io è sempre proteso ad esporsi, ad
apparire; il proprio” sé “ ,invece, rappresenta il livello più profondo dell’essere umano,
il “luogo” in cui è impressa l'immagine di Dio. Chi riesce ad avere un contatto con il
“proprio sè”, con la propria interiorità, dimostra di essere indipendente rispetto al
giudizio altrui, ai luoghi comuni.
La persona che “ va verso sé stessa” vive con profondo senso di responsabilità ogni
ambito della propria storia personale: < La storia è il tuo capitale. Se tu ti riconcili
con il percorso della tua vita, esso può produrre frutto per tanti, proprio con i suoi
aspetti più difficili> Chi riesce a riconciliarsi con il proprio passato, la propria
biografia esce dalla palude dei sensi di colpa e da ogni forma di deresponsabilizzazione
che consiste nell’incolpare gli altri delle proprie mancanze.
4 Accettare se stessi. Per giungere a una forma autentica di accettazione di sé bisogna
essere umili ovvero avere il coraggio di riconoscersi per ciò che si è senza orpelli,
senza illusioni o fantasticherie. Si tratta di passare dall’idealità alla realtà, dal sogno alla
verità, dall’astrattezza alla concretezza. Tale passaggio avviene nella maniera in cui
sappiamo accogliere tutto ciò che abbiamo dentro, non solo gli aspetti positivi, ma
anche quelli negativi. Un segno di grande capacità di accettazione di sé consiste nel
saper assumere i propri limiti, debolezze per essere “presso di sé”, consapevoli di ciò
che si è; rappacificati con se stessi. L’accettazione di sé richiede la capacità di non
dipendere dal giudizio altrui, di non ritenere di valere in misura delle approvazioni
altrui. La relazione con gli altri è di fondamentale importanza, ma questa non
sostituisce né esclude lo sviluppo consapevole della propria verità, identità, unicità.
Se non perveniamo ad una consapevole adesione con noi stessi corriamo il rischio di
stabilire relazioni fusionali con gli altri, di dipendenza che impediscono la crescita
umana e spirituale. Bisogna scavare nel proprio “cuore”, ricercare nella propria
interiorità il “tesoro nascosto”, la “perla preziosa” che è ogni essere umano creato ad
immagine e somiglianza di Dio. < La nostra patria è all’interno. E là siamo sovrani.
Finché noi non riscopriremo questa verità antica – e ciò ognuno per sé e a proprio
modo- siamo condanni a vagare e a carcere consolazione là dove non esiste: nel
mondo esterno>
GESU' VERO UOMO: quattro priorità per vivere e crescere umanamente
<Noi sappiamo che il Verbo si è fatto uomo, della nostra stessa pasta (uomo come
noi siamo uomini!):perché, se non fosse così, invano ci avrebbe domandato di
imitarlo. Se quest’uomo, Gesù, fosse stato un’altra sostanza, come avrebbe potuto
chiederci, a noi deboli per natura, di comportarci come lui si è comportato.> Ippolito
di Roma
IL primo capitolo del Vangelo secondo Marco offre un vero e proprio itinerario di
crescita e di maturazione che i credenti di ogni tempo sono chiamati a realizzare per
giungere alla piena maturità di Cristo ( cfr Ef 4,11ss). Gli aspetti umani che
desideriamo considerare sono quattro: l'umiltà, l'ascolto, l'interiorità e la comunione.
Gesù uomo umile
Anzi tutto, notiamo che Gesù è presentato dall’evangelista senza colpi di scena, “effetti
speciali” tale che possano attirare immediatamente l’attenzione del lettore mostrandone
immediatamente la sua onnipotenza. Gesù viene da un luogo semplice, piccolo,
povero: Nazaret, situata in una regione denominata Galilea che vuol dire “circondario
dei pagani”, per farsi battezzare da Giovanni Battista < Ed ecco, in questi giorni,
Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni> ( Mc
1,9).
Gesù si mette tra la fila dei peccatori che vanno da Giovanni per essere battezzati. Si
tratta di un gesto di umiltà, semplicità, che indica la fedeltà alla condizione creaturale e
anticipa, nella sua discesa nel fiume Giordano, il farsi carico dei peccati di tutta
l’umanità.
Gesù è l’uomo che si fa solidale all’umanità peccatrice; è l’uomo che rivela il volto di
Dio che non giudica ma usa misericordia. La sua forza e autorevolezza proviene
dall’unzione dello Spirito Santo: < E subito, uscendo dall’acqua vide squarciarsi i
cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba> ( Mc 1,10). Lo Spirito
Santo che non preclude, né compromette, né elude o sminuisce la condizione
creaturale, ma potenzia la vita umana e la perfezione. Lo Spirito opera efficacemente in
un cuore umile, docile che si lascia plasmare, orientare, rigenerare.
Ogni qualvolta si riflette sull'umiltà si è immediatamente tentati di considerarla come
una virtù che pone la persona che ne è dotata in una condizione di superiorità rispetto
agli altri. Per umiltà intendiamo, invece, una condizione di abbassamento secondo il
termine latino humus che vuol dire “terra”. Anche l'umiltà di Gesù non consiste nella
rivelazione di una virtù divina di per sé irraggiungibile per l'essere umano, ma della sua
condizione di abbassamento, di svuotamento di sé (kenosis) come afferma l'inno della
lettera ai Filippesi ( cfr Fil 2,5-11).
L'itinerario “kenotico” di Gesù è stato quello di lottare contro il Principe di questo
mondo rimanendo fedele alla condizione creaturale. Per il discepolo il cammino di
umiltà consiste nell'intraprendere il medesimo combattimento spirituale di Gesù nel
deserto contro le seduzioni della “carne” che il Tentatore con subdole strategie gli
propone per ingannarlo e separarlo dalla sua verità creaturale, storica, fragile. L'umiltà
nasce, in definitiva, al cuore della crisi del discepolo che nel percepire da una parte la
forza dello Spirito e dall'altra la debolezza della carne, si rivolgere a Dio invocando il
suo aiuto.
L'umiltà nasce nel momento in cui prendiamo coscienza della nostra condizione di
peccatori e della necessità di ricevere la grazia di Dio per non soccombere nel tempo
della tentazione. < Impariamo dunque anche noi – scrive Cassiano – a percepire in
ogni azione la nostra debolezza e allo stesso tempo l'aiuto di Dio, e a ripetere ogni
giorno con i santi: “ Fui spinto con forza a cadere, ma il Signore mi sostenne. Mia
forza e mio canto è il Signore: fu per me la salvezza “ ( Sal 118,13-14)>
L'umiltà è quella condizione esistenziale che ci rende consapevoli della nostra
condizione creaturale e ci permette di avere una giusta conoscenza di noi stessi, della
nostra debolezza, della nostra profonda identità, del nostro peccato senza pretendere di
auto-salvarci, di trovare in noi stessi i mezzi idonei per superare i nostri limiti, ma
confidando nel Signore che pone il suo sguardo sull'umile e su chi ha uno spirito
contrito.
Gesù uomo dell'ascolto
La voce del Padre: < E venne una voce dal cielo: Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te
ho posto il mio compiacimento> ( Mc 1,11). L’effusione dello Spirito è rivelazione
dell’amore del Padre; rivelazione dell’identità filiale. Gesù , vero Dio e vero uomo,
vive una profonda e particolare relazione con Dio Padre.
Gesù è raggiunto da una “una voce dal cielo”, dalla parola del Padre che esprime una
relazione “ Tu sei il Figlio mio”. Una parola che manifesta l’identità di Gesù. L’ascolto
rappresenta una dimensione importante per la vita umana e spirituale, un atteggiamento
interiore, un’apertura del cuore che dispone ad accogliere Dio che viene incontro
all’uomo con molta amorevolezza attraverso la sua parola.
Dov’è c’è un autentico ascolto della Parola di Dio inevitabilmente c’è un ascolto
profondo dell’uomo ed in particolare della sofferenza dell’uomo. Chi sa ascoltare Dio
sa anche ascoltare l’uomo; chi non sa ascoltare l’uomo dimostra di non saper ascoltare
neanche Dio. Vale la pena riportare un pensiero di D. Bonhoeffer sul rapporto tra
l'ascolto di Dio e l'ascolto degli altri < Il primo servizio che di deve agli altri nella
comunione consiste nel prestare loro ascolto. L'amore per Dio comincia con l'ascolto
della sua Parola, e analogamente l'amore per il fratello comincia con l'imparare ad
ascoltarlo. L'amore di Dio agisce in noi, non limitandosi a darci la sua Parola, ma
prestandoci anche ascolto. Allo stesso modo l'opera di Dio si riproduce nel nostro
imparare a prestare ascolto al nostro fratello. I cristiani, soprattutto quelli impegnati
nella predicazione, molto spesso pensano di dover offrire qualcosa agli altri con cui
si incontrano, e ritengono che questo sia il loro unico compito. Dimenticano che
l'ascoltare potrebbe essere un servizio più importante del parlare. Molti cercano un
orecchio disposto ad ascoltarli, e non lo trovano fra i cristiani, che parlano sempre,
anche quando sarebbe il caso di ascoltare. Ma chi non sa più ascoltare il fratello,
prima o poi non sarà più nemmeno capace di ascoltare Dio, e anche al cospetto di
Dio non farà che parlare. Qui comincia la morte della vita spirituale, e alla fine non
rimane altro che un futile chiacchierio religioso...>
L'evangelista Marco riporta il seguente detto di Gesù rivolto ai discepoli < fate
attenzione a quello che ascoltate> ( Mc 4,24) mentre l'evangelista Luca < fate
attenzione a come ascoltare> ( Lc 8,18). Il discepolo deve considerare “cosa” ascolta,
cioè il contenuto oggetto di ascolto, e “l'atteggiamento” con il quale si predispone ad
ascoltare. Il “cosa” ascoltare richiede da parte del credente una vera e propria
disciplina umana per verificare di cosa si “nutre”, cosa ascolta, quali argomenti attirano
la sua attenzione, cosa legge. L'ascolto non è un fatto neutro, ma determina i i pensieri,
le scelte e i comportamenti del discepolo. Se la vita del discepolo è piena di tante
“voci” senza dare spazio alla “voce dello Spirito”, all'ascolto della Parola di Dio,
certamente è ben lontano dal realizzare l'itinerario proposto da Gesù per giungere alla
piena maturità umana.
Per quanto concerne il “come” ascoltare la parabola del seminatore ( cfr Mc 4,13-20)
suggerisce di evitare la superficialità, un approccio alla Parola distratto, premuroso
senza aver tempo per riflettere, meditare. Suggerisce, inoltre, di sviluppare un ascolto
costante, assiduo. Il discepolo è chiamato a vivere una relazione con la Parola
permanente, continua e non ad intermittenza o secondo le proprie aspettative, richieste,
esigenze. Non c'è maturità umana e spirituale senza perseveranza, fedeltà, costanza.
L'ascolto di Dio produce la conversione del cuore ristabilendo le vere priorità. Il
discepolo non può ascoltare la Parola ed essere preso dalle preoccupazioni del mondo,
dalla seduzioni delle ricchezze e dai piaceri della vita ( cfr Mc 4,19; 2 Tim 2,3ss).
In definitiva l'evangelista Marco suggerisce di ascoltare con attenzione, costante e
discernimento per far sì che la Parola produca frutto < il trenta, il sessanta, il cento
per uno> ( Mc 4,20)
Gesù uomo che cura l'interiorità
Gesù è condotto/ scaraventato dallo Spirito nel “deserto”, luogo della Parola ( cfr Os
2,6), dell’ascolto, del silenzio, dell’essenzialità. Non c’è missione, ministerialità se non
c’è capacità di solitudine, di ascolto, di riflessione, di verifica di ciò che dimora nel
proprio cuore. Il libro del Deuteronomio afferma che Dio condusse Israele nel deserto
perché imparasse a “conoscere ciò che aveva nel cuore” ( cfr Dt 8,1ss). La maturità
umana esige interiorità, la cura di sé, spazi e tempi per pensare, pregare, meditare,
ascoltare, contemplare. L’uomo non “vive di solo pane”, non vive di solo relazioni
umane, ma di ascolto della Parola di Dio.
Il deserto è anche il luogo del combattimento spirituale, della lotta per acquisire
“lucidità” per sviluppare quelle attitudini interiori antiidolatriche che permettono al
discepolo di vivere con consapevolezza, di volgere attenzione alla vita, agli altri, a se
stesso, senza lasciarsi trasportare dagli eventi meccanicamente, inconsapevolmente. Si
tratta di vivere non da schiavi sottomessi alle proprie pulsioni egoistiche ed
egocentriche, ma da figli amati e pertanto capaci di amare.
IL santo è < l’uomo che, spogliatosi del proprio egoismo, vive per Dio e per gli altri>
. Il deserto è il luogo in cui, guidati dallo Spirito e illuminati dalla Parola di Dio,
prendiamo coscienze delle forze caotiche che sono in noi. Siamo, infatti,
ontologicamente esseri complessi capaci di amare e di odiare, di pace e di violenza, di
gioia e di tristezza… In noi abita un mondo interiore da scoprire, fatto di luci e di
ombre. Il cammino di maturazione umana esige una concreta ed assidua conoscenza di
sè stessi per giungere a dominare e trasformare quelle forze/pulsioni che sono in noi in
possibilità di bene, di amore, di servizio.
Il deserto è un “luogo” particolarmente frequentato da Gesù che indica uno spazio
interiore, un atteggiamento spirituale di solitudine, di ascolto, di interiorità, di relazione
profonda con il Padre. Luogo in cui : a) in cui risuona la Parola ( cfr Mc 1,3); b) Gesù
si ritira per meditare sul senso della sua missione e per sconfiggere il Tentatore ( Mc
1,13); c) prega (Mc 1,35); d) si ritira per evitare la folla entusiasta ( Mc 1,45). Il
deserto è simbolo del cammino umano verso la propria interiorità (va verso te stesso
cfr Gn 12,1) per acquisire una stabilità interiore frutto di un rapporto riconciliato con il
proprio passato, la propria biografia; di un modo consapevole di vivere il presente; di
apertura al nuovo, all’inedito, all’imprevisto, al futuro.
Una vita protesa soltanto alla dimensione esteriore, fondata sul fare, sull’affermazione
di sé contro gli altri crea identità “liquide” - per usare le parole di un noto filosofoinstabili,
incostanti, schizofreniche. Bisogna stabilire un rapporto di continua coerenza
tra interiorità ed esteriorità in modo da dire ciò che pensiamo e fare ciò che diciamo (
cfr M. Buber).
L’uomo nuovo è la persona rappacificata con il proprio mondo interiore, presente a sé
stesso in tutto quello che fa, consapevole della propria unicità. Egli è attento al
giudizio altrui senza però lasciarsene condizionare al punto da conformarsi alla
mentalità di questo mondo rinnegando la propria identità ed unicità. Perché ciò
avvenga l'uomo necessità di spazi di solitudine, di luoghi interiori ed esteriori per
pensare, meditare, riflettere, concentrarsi, riappropriandosi della propria esistenza.
Un conto è vivere, altra cosa lasciarsi vivere. Nel primo caso agiamo con
consapevolezza, manteniamo un contatto con noi stessi verificando il senso del nostro
agire, operare, scegliere, il nostro grado di libertà e di verità. Nel secondo caso, invece,
siamo come “canna sbattuta dal vento” lasciandoci trascinare dalle correnti del
momento senza criterio, senza valutare ciò che favorisce la nostra crescita umana, ma
lasciandoci sedurre dalle cose, dalle situazioni, dalle persona condotti come un fiume in
piena dalla forza caotica dei nostri bisogni. < La maggior parte degli uomini teme il
silenzio, per cui quando cessa il brusio costante, per esempio di un ricevimento,
bisogna sempre fare, dire, fischiare, cantare, tossire o mormorare qualcosa. Il
bisogno di rumore è quasi insaziabile, anche se talvolta il rumore diventa
insopportabile. E' comunque pur sempre meglio di niente. Quello che si definisce
significativamente “ silenzio di tomba” rende terribilmente inquieti. Perché? Vi si
aggirano forse i fantasmi? Non credo; in realtà si teme ciò che potrebbe venire fuori
dal proprio intimo e quello cioè che abbiamo tenuto alla larga con il rumore> ( Carl
G. Jung)
Curare la propria interiorità significa scoprire il valore profondo del silenzio come
“presenza” che avvolge la nostra esistenza e ci permette di prendere le distanze dal
caos, dal rumore interiori, dalle tante voci che spesso portiamo dentro. Silenzio come
attenzione a ciò che siamo, a quello che faccio, a quello che desideriamo. < Se ami la
verità, sii amante del silenzio; a somiglianza del sole esso ti renderà luminoso in Dio
e ti libererà dai fantasmi dell'ignoranza. Il silenzio ti unirà a Dio stesso> ( Isacco di
Ninive).
Gesù uomo fatto comunione
La vocazione alla comunione si realizza nella capacità di coinvolgere altri, nel farsi
umili compagni di viaggio. In realtà, questa non è solo l’arte dell’uomo maturo, ma, in
modo particolare, di chi svolge una vera e propria paternità spirituale, infatti, aiutare
gli altri a riconoscere la propria unicità, identità, vocazione, carisma è uno degli aspetti
fondamentali di chi svolge una funzione di guida, di accompagnamento spirituale.
Gesù : <vide Simone e Andrea…>, e disse loro < venite dietro a me, vi farò
diventare pescatori di uomini> ( Mc 1,17). Il verbo vedere esprime tutto l'amore che
Gesù nutre per ogni essere umano colto nella sua verità, unicità, realtà. Un amore che
stabilisce un legame profondo proponendo un cammino “venite dietro a me”
svelando il senso della propria missione “ vi faro diventare pescatori di uomini”.
Vivere con Gesù significa intraprendere un cammino di vera umanizzazione per
imparare l'arte: della relazione con gli altri, con Dio, con tutto il creato; della
compassione; dell'ascolto dell'uomo sofferente. Seguendo Gesù il discepolo impara a
farsi prossimo, a prendersi cura dell'uomo sofferente, per una vera compartecipazione
con ogni essere umano, ad avere un “cuore comunitario”, accogliente che non pone
alcuna barriera sociale, culturale, etnica, razionale, religiosa, ma riconosce il valore
inestimabile della dignità umana.
IL discepolo che vive in comunione con Gesù “vede” gli altri con cuore nuovo, senza
pregiudizi, senza invidia, senza bramosia. L'altro non è “visto” come un nemico, un
ostacolo alla libertà, un concorrente, ma come dono da accogliere e custodire. Il libro
della Genesi pone due interrogativi fondamentali per capire la vocazione dell'uomo:
“Adamo dove sei ? “( Gn 3,9) e “ dov'è tuo fratello?” ( Gn 4,9). Con il termine
Adamo, letteralmente il “terrestre”, si fa riferimento ad ogni essere umano. La Parola
di Dio ci invita a verificare dove ci collochiamo rispetto a Dio, se ci nascondiamo,
abbiamo paura di Dio ritenuto come ostacolo alla nostra realizzazione. Questo primo
interrogativo è strettamente connesso al secondo: dov'è tuo fratello? Questa domanda,
com'è noto, è rivolta a Caino che non accetta il fatto che Dio gradisca anche l'offerta
Abele e pertanto decide di eliminarlo in modo da avere tutta l'attenzione su di lui.
Il super-io s'impone considerando l'altro come “hebel” cioè soffio ( Abele), qualcosa
d'inconsistente ai fini della propria crescita. Caino nega la possibilità di diventare
fratello. La questione infatti non è semplicemente essere una persona insieme alle altre,
ma diventare fratello cioè responsabile, custode dell'altro. Gesù chiede ai suoi discepoli
di riconoscersi fratelli senza lasciarsi ingannare dai titoli, dalla mania di superiorità,
dalla ricerca dei privilegi < Ma voi non fatevi chiamare rabbì, perchè uno solo è
vostro Maestro e voi siete tutti fratelli.> ( Mt 23,8).
Solo se consideriamo l'altro come fratello vige la regola del : perdono all'interno dello
spazio comunitario: < Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te...> ( Mt
18,15); del rispetto della dignità di ciascuno < Chi poi dice al fratello Stupido, dovrà
essere sottoposto al giudizio > ( Mt 5,22). Solo chi vive la fraternità può pregare
rivolgendosi a Dio Padre: < Padre nostro che sei nei cieli..> ( ( Mt 6,9) e può
considerarsi ascoltatore della Parola di Dio: < amatevi intensamente, di vero cuore, gli
uni gli altri, rigenerati non da un seme corruttibile ma incorruttibile, per mezzo della
parola di Dio viva ed eterna> ( 1 Pt 1,22).
Il cammino di umanizzazione non può prescindere dalla fraternità, infatti, finché l'altro
è un nemico da eliminare non c'è alcuna crescita verso la maturità piuttosto un
processo di regressione verso l'animalità. L'uomo ha la possibilità di diventare
somigliante a Dio realizzando il cammino di umanizzazione proposto da Gesù oppure
di regredire verso l'istinto bestiale che lo riduce a < pascolare i porci. Avrebbe voluto
saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla > ( Lc
15,15b-16).
Con queste parole l'evangelista Luca ci permette di capire le conseguenze di una vita
isolata che pretende di eliminare ogni relazione con gli altri, di negare la paternità e la
fraternità ( cfr Lc 15,1-2). Questa ricerca di emancipazione verso la “ terra della
propria libertà” risulta illusoria e disumanizzante, infatti, il giovane della parabola,
dopo aver sperperato tutto da figlio si ritrova ad essere schiavo < Allora andò a
mettersi a servizio di uno degli abitanti di quella regione> ( Lc 15,15). Dall'aver tutto
si ritrova a non aver nulla. La vera libertà non sta fuori dalla “casa paterna e fraterna”,
ma all'interno. Non c'è vera libertà senza comunione, senza fraternità,senza relazioni
autentiche con gli altri. Grazie alla presenza dell'altro impariamo a riconoscere chi
siamo, qual'è la nostra vocazione; grazie al volto interpellante dell'altro impariamo il
senso di responsabilità, di servizio.
Gesù inizia il suo ministero chiamando a sé delle persone per costruire legami fraterni
profondi, infatti, pur essendo il Figlio di Dio non si presentò come “battitore libero”,
autonomo e autosufficiente, superiore e dunque non bisognoso di relazioni umane. Al
contrario, si preoccupò da subito a stabilire legami umani e spirituali profondi con
alcune persone in particolari, i Dodici, mostrando la bellezza “ dello stare insieme
come fratelli” ( cfr Sal 133). Alla scuola di Gesù i discepoli devono imparare ad
assumere la propria condizione umana, a vivere nell'accoglienza reciproca superando le
pulsioni dell'arrivismo, la logica del “migliore”,del più grande, per costruire legami di
fraternità a partire dalla fede in Gesù: <La moltitudine di coloro che erano diventati
credenti aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno considerava sua proprietà
quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era in comune.>( At 4,33).
Anche l'esperienza carismatica si fonda sul principio della fraternità ed è finalizzata alla
fraternità. I carismi, infatti, non sono elargiti per meriti personali e per un “uso”
personale, ma per la comunità e nella comunità. Attraverso i carismi ognuno si prende
cura dell'altro, si relaziona all'altro, si manifesta bisognoso dell'altro incapace di
operare senza gli altri. I carismi non sono “forze” centrifughe che disgregano la
comunità e la frammentano in tante specializzazioni ministeriali, ma forze centripete
finalizzati all'edificazione comune. I carismi si sviluppa in un clima fraterno e suscitano
una profonda affinità spirituale tra i membri della comunità. Il carisma di uno sollecita
l'altro a condividere il proprio in modo da rispondere insieme all'amore di Dio.
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