"E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria. Romani" (Rm 8,17)
La Santa Famiglia proprio per la sua natura umana, non fu esente da sofferenze e da dolori. Basti pensare ad alcuni episodi centrali della vita di Maria e di Giuseppe: la maternità di Maria, il matrimonio di Giuseppe e Maria, la nascita di Gesù, la presentazione al Tempio di Gesù Bambino, la profezia di Simeone, la fuga in Egitto, il ritorno dall'Egitto, lo smarrimento e il ritrovamento di Gesù nel tempio all'età di 12 anni, ecc. Tali episodi testimoniano come le situazioni soggettive, familiari e sociali abbiano sottoposto Maria e Giuseppe a paure, sofferenze, dolori che hanno coinvolto profondamente il loro cuore senza però smarrimenti, nella fiducia totale in Dio Padre e nella sua divina Provvidenza, come Padre buono, amoroso, sempre fedele. Maria e Giuseppe pur dovendo affrontare prove così dolorose, hanno sempre mantenuto la loro fiducia in Dio Padre con profonda fede, con incrollabile speranza nelle promesse del Signore e con operosa e santa carità, umilmente sottomessi alla volontà di Dio.
La profezia di
Simeone e il dolore di Maria ai piedi della Croce
In occasione della
presentazione di Gesù al Tempio (quaranta giorni dopo la nascita) il vecchio
Simeone pronunciò le profetiche parole: "Egli è qui per la rovina e la
risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati
i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima "
(Lc 2,34-35). Spada come simbolo del cammino doloroso della Vergine Maria che
nella tradizione posteriore sarà assunta quale segno plastico dei dolori
sofferti dalla Madre del Redentore e quindi raffigurate in numero di sette
infisse nel cuore della Vergine. È nell'evento della passione e della
crocifissione che ritroviamo il significato primo ed ultimo dell'Addolorata:
"Stavano presso la Croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria
di Cleofa e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei
il discepolo che egli amava, disse alla madre: Donna, ecco il tuo figlio"
poi disse al discepolo: "ecco la tua madre" (Gv 19,2527a). Questo
distacco terreno contiene in sé tutto il mistero della missione di Gesù e di
Maria: l'abissale dolore per la morte in croce del Figlio, innocente,
ingiustamente condannato e la comprensione spirituale per l'esito di tale
morte prefigurante la gloriosa risurrezione di Gesù ad opera dello Spirito del
Padre.
Maria partecipa
con tutta se stessa al dolore del Figlio che si è fatto carico di tutti i peccati,
di tutte le sofferenze, di tutti i dolori dell'umanità. Gesù è "l'uomo dei
dolori, che ben conosce il patire" (Is 53,3) e, parallelamente, sua madre
è "la donna dei dolori", Ella esprime anche il modello della perfetta
unione con Gesù fino alla Croce. Il mistero della "mater dolorosa letto
in riferimento a Cristo e alla Chiesa, diventa esperienza vitale per il
cristiano non solo riguardo alla conoscenza della storia salvifica, ma anche
singolare fonte di consolazione e di speranza per affrontare la vita
quotidiana secondo il senso escatologico che Cristo ha dato al suo sacrificio
pasquale, dalla passione-morte alla gloriosa risurrezione, per la salvezza
dell'intera umanità nella vita eterna in Dio Trinità. . Coloro che sono
partecipi delle sofferenze di Cristo sono anche chiamati, mediante le loro
proprie sofferenze, a prender parte alla gloria escatologica, che nella Croce
di Cristo era offuscata dall'immensità della sofferenza. Così si esprime
l'apostolo Paolo: "Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di
Cristo, rallegratevi, perché anche nella rivelazione della sua gloria
possiate rallegrarvi ed esultare" (1Pt4,13).
La sofferenza,
infatti, è sempre una prova, a volte alquanto dura, alla quale viene sottoposta
l'umanità. "Coloro che sono partecipi delle sofferenze di Cristo hanno
davanti agli occhi il mistero pasquale della Croce e della risurrezione, nel
quale Cristo discende, in una prima fase, sino agli ultimi confini della debolezza
e dell'impotenza umana: egli, infatti, muore inchiodato sulla Croce... Le debolezze
di tutte le sofferenze umane possono essere permeate dalla stessa potenza di
Dio, quale si è manifestata nella Croce di Cristo.
In questa
concezione, soffrire significa diventare particolarmente suscettibili,
particolarmente aperti all'opera delle forze salvifiche di Dio, offerte
all'umanità in Cristo" (Ibid.,23). San Paolo scrive: "...Sono lieto
delle sofferenze, che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che
manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo corpo che è la Chiesa"
(Col 1,24). "La sofferenza di Cristo ha creato il bene della redenzione
del mondo. Questo bene in se stesso è inesauribile ed infinito. Nessun uomo
può aggiungerci qualcosa. Allo stesso tempo, però, nel mistero della Chiesa
come suo corpo, Cristo in un certo senso ha aperto la propria sofferenza redentiva
ad ogni sofferenza dell'uomo. In quanto l'uomo diventa partecipe delle
sofferenze di Cristo - in qualsiasi luogo del mondo e tempo della storia - in
tanto egli completa a suo modo quella sofferenza, mediante la quale Cristo ha
operato la redenzione del mondo" (Solvifici doloris, 24).
Proprio la Chiesa,
come "ecclesia totale" e quale corpo di Cristo, è la dimensione nella
quale la sofferenza redentrice di Cristo può essere costantemente completata
dalla sofferenza dell'uomo. In ciò viene messa in risalto anche la natura divino-umana
(Cristo-umanità) della Chiesa che opera attraverso l'azione incessante dello
Spirito Santo.
La sofferenza va vissuta con fede e speranza come risposta all'amore di Dio
La sofferenza
appartiene certamente al mistero dell'uomo. Come tutti sono stati chiamati a
"completare" con la propria sofferenza "quello che manca ai
patimenti di Cristo", Cristo allo stesso tempo ha insegnato all'uomo a far
del bene con la sofferenza ed a far del bene a chi soffre (carità). In questo
duplice aspetto Cristo ha svelato fino in fondo il senso della sofferenza.
Questo è il senso
veramente soprannaturale ed insieme umano della sofferenza. "È
soprannaturale, perché si radica nel mistero divino della redenzione del mondo,
ed è, altresì, profondamente umano, perché in esso l'uomo ritrova se stesso, la
propria umanità, la propria dignità, la propria missione" (Salvifici
doloris, 31 ).
II Concilio
Vaticano II nella "Gaudium et Spes" sintetizza il senso della
sofferenza umana con questa espressione: "Per Cristo e in Cristo si
illumina l'enigma del dolore e della morte" (22). II mistero della
redenzione del mondo è radicato nella sofferenza, e questa, a sua volta, trova
in esso il suo supremo e più sicuro punto di riferimento. Dice Giovanni Paolo
li: "Occorre... che sotto la Croce del Calvario idealmente convengano
tutti i sofferenti che credono in Cristo... (e) gli uomini di buona volontà,
perché sulla Croce sta il "Redentore dell'uomo, l'Uomo dei dolori, che in
sé ha assunto le sofferenze fisiche e morali degli uomini di tutti i tempi,
affinché nell'amore possano trovare il senso salvifico del loro dolore e
risposte valide a tutti i loro interrogativi. Insieme con Maria, Madre di
Cristo, che stava sotto la Croce, ci fermiamo accanto a tutte le croci
dell'uomo d'oggi... Nel terribile combattimento tra le forze del bene e del
male, di cui ci offre spettacolo il nostro mondo contemporaneo, vinca la
vostra sofferenza in unione con la Croce di Cristo!" (Salvifici doloris,
31).
Scrive l'apostolo
Paolo: "...fortificatevi nel Signore e nella sua onnipotente virtù.
Rivestitevi dell'armatura di Dio per poter resistere alle insidie del
diavolo: perché noi non abbiamo da combattere solo contro forze puramente
umane, ma contro i principati e le potestà, contro i dominatori di questo mondo
di tenebre, contro gli spiriti del male sparsi nell'aria. Rivestitevi dunque
dell'armatura di Dio, per poter resistere nel giorno maligno... cinti i
fianchi con la virtù, rivestiti della corazza della giustizia, e calzati i
piedi, pronti per annunciare il Vangelo di pace" (Ef 6,10-15).
"Ci sarà
sempre sofferenza che necessita di consolazione e di aiuto. Sempre ci sarà
solitudine. Sempre si saranno anche situazioni di necessità materiali nelle
quali è indispensabile un aiuto nella linea di un concreto amore per il
prossimo" (Benedetto XVI, Deus Caritas est, p. 62).
Così il dolore, la
sofferenza se vissuti con fede e speranza secondo il messaggio evangelico di
Cristo Redentore e di Maria corredentrice, hanno il senso di unirci al dolore
salvifico di Gesù e di Maria per vincere il peccato e il maligno e partecipare,
purificati dallo Spirito Santo, alla mensa santa del Padre nella Gerusalemme
celeste per l'eternità.
Salvifici
Doloris (Lettera Apostolica), testo completo:
[Completo nella mia
carne, dice l’apostolo Paolo, spiegando il valore salvifico della sofferenza,
quello che manca ai patimenti di Cristo in favore del suo corpo che è la Chiesa
(Col 1,24)]
Lettera
apostolica sul senso cristiano della sofferenza di Giovanni Paolo II
SINTESI
1. Il
mondo dell’umana sofferenza
“Completo
nella mia carne, dice l’apostolo Paolo, spiegando il valore salvifico della
sofferenza, quello che manca ai patimenti di Cristo in favore del suo corpo che
è la Chiesa”. (Col 1,24) Queste parole sembrano trovarsi al termine del lungo
camino, che si snoda attraverso la sofferenza inserita nella storia dell’uomo
ed illuminata dalla parola di Dio. Esse hanno quasi il valore di una definitiva
scoperta, che viene accompagnata dalla gioia; per questo l’Apostolo scrive:
“Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi” (ibid.). La gioia
proviene dalla scoperta del senso della sofferenza, ed una tale scoperta, anche
se vi partecipa in modo personalissimo Paolo di Tarso che scrive queste parole,
è al tempo stesso valida per gli altri.
La sofferenza è qualcosa di ancora più ampio della malattia, di più complesso ed insieme più profondamente radicato nell’umanità stessa. Una certa idea di questo problema ci viene dalla distinzione tra sofferenza fisica: quando duole il corpo e sofferenza morale: dolore dell’anima. Si tratta quest’ultima del dolore di natura spirituale, e non solo della dimensione psichica del dolore che accompagna sia la sofferenza morale che quella fisica.
La Sacra Scrittura è un grande libro sulla sofferenza. Si può dire che l’uomo soffre, allorquando sperimenta un qualsiasi male. Nel vocabolario dell’Antico Testamento il rapporto tra sofferenza e male si pone in evidenza come identità, solo nel Nuovo Testamento la sofferenza non è più direttamente identificabile col male (oggettivo), ma esprime una situazione nella quale l’uomo prova il male e, provandolo, diventa soggetto di sofferenza. Al centro di ciò che costituisce la forma psicologica della sofferenza si trova sempre un’esperienza del male, a causa del quale l’uomo soffre.
Così dunque la realtà della sofferenza provoca l’interrogativo sull’essenza del male: che cosa è il male?I
l cristianesimo proclama l’essenziale bene dell’esistenza e il bene di ciò che esiste, professa la bontà del creatore e proclama il bene delle creature. L’uomo soffre a causa del male, che è una certa mancanza, limitazione o distorsione del bene.
All’interno di ogni singola sofferenza provata dall’uomo appare inevitabile l’interrogativo: perché? E’ un interrogativo circa la causa, la ragione, lo scopo, il senso. Un interrogativo che si collega all’altro, a cui rimanda: perché il male?
Nel Libro di Giobbe questi interrogativi hanno trovato la loro espressione più viva.
E’ nota la storia di questo uomo giusto, il quale senza nessuna colpa da parte sua viene provato da innumerevoli sofferenze. Egli perde i beni, i figli, le figlie ed infine viene egli stesso colpito da una grave malattia. In questa tragica situazione si presentano nella sua casa tre vecchi conoscenti, i quali cercano di convincerlo che, poiché è stato colpito da una così molteplice e terribile sofferenza, egli deve aver commesso una colpa grave. La sofferenza può avere ai loro occhi un senso come pena per il peccato, esclusivamente sul terreno della giustizia di Dio, che ripaga col bene il bene e col male il male.
Giobbe tuttavia contesta la verità del principio, che identifica la sofferenza con la punizione del peccato. Infatti egli è consapevole di non aver meritato una tale punizione. Alla fine Dio stesso rimprovera gli amici di Giobbe per le loro accuse e riconosce che Giobbe non è colpevole. La sua è la sofferenza di un innocente: deve essere accettata come un mistero, che l’uomo non è in grado di penetrare fino in fondo con la sua intelligenza.
Se è vero che la sofferenza ha un senso come punizione, quando è legata alla colpa, non è vero, invece, che ogni sofferenza sia conseguenza della colpa ed abbia carattere di punizione.
Dall’introduzione del Libro risulta che Dio permise questa prova per provocazione di satana, che aveva contestato davanti al Signore la giustizia di Giobbe: “Forse che Giobbe teme Dio per nulla?…Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani….ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha, e vedrai come ti benedirà in faccia.” (Gb 1,9-11)
E se il Signore acconsente a provare Giobbe con la sofferenza, lo fa per dimostrare la giustizia. La sofferenza ha il carattere di prova. Il Libro di Giobbe non è l’ultima parola della Rivelazione su questo tema. In un certo modo esso è annuncio della passione di Cristo.
Un aspetto importante della sofferenza nell’Antico Testamento è che questa deve servire alla conversione, cioè alla ricostruzione del bene nel soggetto, che può riconoscere la misericordia divina in questa chiamata alla penitenza.
La penitenza ha come scopo di superare il male, che sotto diverse forme è latente nell’uomo, e di consolidare il bene sia in lui stesso, sia nei rapporti con gli altri e, soprattutto, con Dio.
L’amore è la fonte più ricca del senso della sofferenza, che rimane sempre un mistero: siamo consapevoli dell’insufficienza ed inadeguatezza delle nostre spiegazioni. Cristo ci fa entrare nel mistero e ci fa scoprire il perché della sofferenza, in quanto siamo capaci di comprendere la sublimità dell’amore divino.
La sofferenza è qualcosa di ancora più ampio della malattia, di più complesso ed insieme più profondamente radicato nell’umanità stessa. Una certa idea di questo problema ci viene dalla distinzione tra sofferenza fisica: quando duole il corpo e sofferenza morale: dolore dell’anima. Si tratta quest’ultima del dolore di natura spirituale, e non solo della dimensione psichica del dolore che accompagna sia la sofferenza morale che quella fisica.
La Sacra Scrittura è un grande libro sulla sofferenza. Si può dire che l’uomo soffre, allorquando sperimenta un qualsiasi male. Nel vocabolario dell’Antico Testamento il rapporto tra sofferenza e male si pone in evidenza come identità, solo nel Nuovo Testamento la sofferenza non è più direttamente identificabile col male (oggettivo), ma esprime una situazione nella quale l’uomo prova il male e, provandolo, diventa soggetto di sofferenza. Al centro di ciò che costituisce la forma psicologica della sofferenza si trova sempre un’esperienza del male, a causa del quale l’uomo soffre.
Così dunque la realtà della sofferenza provoca l’interrogativo sull’essenza del male: che cosa è il male?I
l cristianesimo proclama l’essenziale bene dell’esistenza e il bene di ciò che esiste, professa la bontà del creatore e proclama il bene delle creature. L’uomo soffre a causa del male, che è una certa mancanza, limitazione o distorsione del bene.
All’interno di ogni singola sofferenza provata dall’uomo appare inevitabile l’interrogativo: perché? E’ un interrogativo circa la causa, la ragione, lo scopo, il senso. Un interrogativo che si collega all’altro, a cui rimanda: perché il male?
Nel Libro di Giobbe questi interrogativi hanno trovato la loro espressione più viva.
E’ nota la storia di questo uomo giusto, il quale senza nessuna colpa da parte sua viene provato da innumerevoli sofferenze. Egli perde i beni, i figli, le figlie ed infine viene egli stesso colpito da una grave malattia. In questa tragica situazione si presentano nella sua casa tre vecchi conoscenti, i quali cercano di convincerlo che, poiché è stato colpito da una così molteplice e terribile sofferenza, egli deve aver commesso una colpa grave. La sofferenza può avere ai loro occhi un senso come pena per il peccato, esclusivamente sul terreno della giustizia di Dio, che ripaga col bene il bene e col male il male.
Giobbe tuttavia contesta la verità del principio, che identifica la sofferenza con la punizione del peccato. Infatti egli è consapevole di non aver meritato una tale punizione. Alla fine Dio stesso rimprovera gli amici di Giobbe per le loro accuse e riconosce che Giobbe non è colpevole. La sua è la sofferenza di un innocente: deve essere accettata come un mistero, che l’uomo non è in grado di penetrare fino in fondo con la sua intelligenza.
Se è vero che la sofferenza ha un senso come punizione, quando è legata alla colpa, non è vero, invece, che ogni sofferenza sia conseguenza della colpa ed abbia carattere di punizione.
Dall’introduzione del Libro risulta che Dio permise questa prova per provocazione di satana, che aveva contestato davanti al Signore la giustizia di Giobbe: “Forse che Giobbe teme Dio per nulla?…Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani….ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha, e vedrai come ti benedirà in faccia.” (Gb 1,9-11)
E se il Signore acconsente a provare Giobbe con la sofferenza, lo fa per dimostrare la giustizia. La sofferenza ha il carattere di prova. Il Libro di Giobbe non è l’ultima parola della Rivelazione su questo tema. In un certo modo esso è annuncio della passione di Cristo.
Un aspetto importante della sofferenza nell’Antico Testamento è che questa deve servire alla conversione, cioè alla ricostruzione del bene nel soggetto, che può riconoscere la misericordia divina in questa chiamata alla penitenza.
La penitenza ha come scopo di superare il male, che sotto diverse forme è latente nell’uomo, e di consolidare il bene sia in lui stesso, sia nei rapporti con gli altri e, soprattutto, con Dio.
L’amore è la fonte più ricca del senso della sofferenza, che rimane sempre un mistero: siamo consapevoli dell’insufficienza ed inadeguatezza delle nostre spiegazioni. Cristo ci fa entrare nel mistero e ci fa scoprire il perché della sofferenza, in quanto siamo capaci di comprendere la sublimità dell’amore divino.
2. Gesù
Cristo: la sofferenza vinta dall’amore
“Dio infatti ha tanto amato il mondo che ha dato il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Queste parole, pronunciate da Cristo nel colloqui con Nicodemo, ci introducono nel centro stesso dell’azione salvifica di Dio. Salvezza significa liberazione dal male, e per ciò stesso rimane in stretto rapporto col problema della sofferenza. Questo amore è dimensione diversa da quella che determinava e, in un certo senso, chiudeva la ricerca del significato della sofferenza entro i limite della giustizia. Mentre finora la nostra considerazione si è concentrata sulla sofferenza nella sua molteplice forma temporale, come anche le sofferenze del giusto Giobbe, invece le parole, ora riportate dal colloquio di Gesù con Nicodemo, riguardano la sofferenza nel suo senso fondamentale e definitivo. La missione del Figlio unigenito consiste nel vincere il peccato con la sua obbedienza e la morte con la sua risurrezione. In conseguenza dell’opera salvifica di Cristo l’uomo esiste sulla terra con la speranza della vita e della santità eterne. E anche se la vittoria sul peccato e sulla morte, riportata da Cristo con la sua croce e risurrezione, non abolisce le sofferenze temporali della vita umana né libera dalla sofferenza l’intera dimensione storica dell’esistenza umana, tuttavia su tutta questa dimensione e su ogni sofferenza essa getta una luce nuova, che è la luce della salvezza. E’ questa la luce del Vangelo, cioè della Buona Novella.
Cristo nella sua attività messianica in mezzo ad Israele si è avvicinato incessantemente al mondo dell’umana sofferenza, ma soprattutto perché ha assunto su di sé la sofferenza del mondo volontariamente e senza alcuna colpa. Nella passione di Cristo la sofferenza entra in un ordine nuovo: è stata legata a quell’amore del quale Cristo parlava a Nicodemo, a quell’amore che crea il bene ricavandolo anche dal male, così come il bene supremo della redenzione del mondo è stato tratto dalla Croce di Cristo.
Il Redentore ha sofferto al posto dell’uomo e per l’uomo. Ogni uomo ha una sua partecipazione alla redenzione. Agli occhi del Dio giusto, quanti partecipano alle sofferenze di Cristo diventano degni del Regno. Mediante le loro sofferenze essi, in un certo senso, restituiscono l’infinito prezzo della passione e della morte di Cristo che divenne il prezzo della nostra redenzione: a questo prezzo il Regno di Dio è stato nuovamente consolidato nella storia dell’uomo, divenendo la prospettiva definitiva della sua esistenza terrena. “Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi, perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare.” (1Pt 4,13)
La sofferenza di Cristo ha creato il bene della redenzione del mondo. Questo bene in se stesso è inesauribile ed infinito. Nessun uomo può aggiungervi qualcosa. La redenzione, però, anche se compiuta in tutta la sua pienezza con la sofferenza di Cristo, vive e si sviluppa come Corpo di Cristo, che è la Chiesa, ed in questa dimensione ogni umana sofferenza, in forza dell’unione nell’amore con Cristo, completa la sofferenza di Cristo. La completa così come la Chiesa completa l’opera redentrice di Cristo.
“Dio infatti ha tanto amato il mondo che ha dato il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Queste parole, pronunciate da Cristo nel colloqui con Nicodemo, ci introducono nel centro stesso dell’azione salvifica di Dio. Salvezza significa liberazione dal male, e per ciò stesso rimane in stretto rapporto col problema della sofferenza. Questo amore è dimensione diversa da quella che determinava e, in un certo senso, chiudeva la ricerca del significato della sofferenza entro i limite della giustizia. Mentre finora la nostra considerazione si è concentrata sulla sofferenza nella sua molteplice forma temporale, come anche le sofferenze del giusto Giobbe, invece le parole, ora riportate dal colloquio di Gesù con Nicodemo, riguardano la sofferenza nel suo senso fondamentale e definitivo. La missione del Figlio unigenito consiste nel vincere il peccato con la sua obbedienza e la morte con la sua risurrezione. In conseguenza dell’opera salvifica di Cristo l’uomo esiste sulla terra con la speranza della vita e della santità eterne. E anche se la vittoria sul peccato e sulla morte, riportata da Cristo con la sua croce e risurrezione, non abolisce le sofferenze temporali della vita umana né libera dalla sofferenza l’intera dimensione storica dell’esistenza umana, tuttavia su tutta questa dimensione e su ogni sofferenza essa getta una luce nuova, che è la luce della salvezza. E’ questa la luce del Vangelo, cioè della Buona Novella.
Cristo nella sua attività messianica in mezzo ad Israele si è avvicinato incessantemente al mondo dell’umana sofferenza, ma soprattutto perché ha assunto su di sé la sofferenza del mondo volontariamente e senza alcuna colpa. Nella passione di Cristo la sofferenza entra in un ordine nuovo: è stata legata a quell’amore del quale Cristo parlava a Nicodemo, a quell’amore che crea il bene ricavandolo anche dal male, così come il bene supremo della redenzione del mondo è stato tratto dalla Croce di Cristo.
Il Redentore ha sofferto al posto dell’uomo e per l’uomo. Ogni uomo ha una sua partecipazione alla redenzione. Agli occhi del Dio giusto, quanti partecipano alle sofferenze di Cristo diventano degni del Regno. Mediante le loro sofferenze essi, in un certo senso, restituiscono l’infinito prezzo della passione e della morte di Cristo che divenne il prezzo della nostra redenzione: a questo prezzo il Regno di Dio è stato nuovamente consolidato nella storia dell’uomo, divenendo la prospettiva definitiva della sua esistenza terrena. “Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi, perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare.” (1Pt 4,13)
La sofferenza di Cristo ha creato il bene della redenzione del mondo. Questo bene in se stesso è inesauribile ed infinito. Nessun uomo può aggiungervi qualcosa. La redenzione, però, anche se compiuta in tutta la sua pienezza con la sofferenza di Cristo, vive e si sviluppa come Corpo di Cristo, che è la Chiesa, ed in questa dimensione ogni umana sofferenza, in forza dell’unione nell’amore con Cristo, completa la sofferenza di Cristo. La completa così come la Chiesa completa l’opera redentrice di Cristo.
3. Il
Vangelo della sofferenza
Nella luce dell’inarrivabile esempio di Cristo, riflesso con singolare evidenza nella vita della Madre sua, il Vangelo della sofferenza, mediante l’esperienza e la parola degli apostoli, diventa fonte inesauribile per le generazioni sempre nuove che si avvicendano nella storia della Chiesa. Attraverso i secoli e le generazioni è stato constatato che nella sofferenza si nasconde una particolare forza che avvicina interiormente l’uomo a Cristo, una particolare grazia. Ad essa debbono la loro profonda conversione molti santi, come ad esempio san Francesco d’Assisi, sant’Ignazio di Loyola, ecc. L’uomo trova nella sofferenza quasi una nuova misura di tutta la propria vita e della propria vocazione. Questa interiore maturità e grandezza spirituale nella sofferenza certamente sono frutto di una particolare conversione e cooperazione con la Grazia del Redentore crocifisso. E’ lui stesso ad agire nel vivo delle umane sofferenze per mezzo del suo Spirito di verità, per mezzo dello Spirito Consolatore. E’ lui, come Maestro e Guida interiore ad insegnare al fratello e alla sorella sofferenti questo mirabile scambio, posto nel cuore stesso del mistero della redenzione e dischiude gli orizzonti del Regno di Dio: di un mondo convertito al Creatore, di un mondo liberato dal peccato, che si sta edificando sulla potenza salvifica dell’amore. Il divin Redentore vuole penetrare nell’animo di ogni sofferente attraverso il cuore della sua Madre santissima, primizia e vertice di tutti i redenti.
Non sempre un tale processo interiore si svolge in modo uguale e senza difficoltà. Quasi sempre ciascuno entra nella sofferenza con una protesta tipicamente umana e con la domanda del suo “perché”. Cristo non risponde direttamente e in astratto a questo interrogativo umano. L’uomo ode la sua risposta salvifica man mano che egli stesso diventa partecipe delle sofferenze di Cristo. E allora l’uomo trova nella sua sofferenza la pace interiore e perfino la gioia spirituale. Di tale gioia parla l’Apostolo nella Lettera ai Colossesi: “Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi”(1,24). Fonte di gioia diventa il superamento del senso d’inutilità della sofferenza. L’uomo si sente condannato a ricevere aiuto ed assistenza dagli altri e, in pari tempo, sembra a se stesso inutile. La fede nella partecipazione alle sofferenze del Cristo porta in sé la certezza interiore che “l’uomo completa quello che manca ai patimenti di Cristo” (Ef 6,12).
Il mondo dell’umana sofferenza invoca, per così dire, senza sosta un altro mondo: quello dell’amore umano. Non può l’uomo “prossimo” passare con indifferenza davanti alla sofferenza altrui in nome della fondamentale solidarietà umana. Egli deve fermarsi, commuoversi, agendo come il samaritano della parabola evangelica. Quest’attività in favore degli uomini sofferenti assume nel corso dei secoli forme istituzionali organizzate e costituisce un campo di lavoro nelle rispettive professioni.
Cristo dice: “L’avete fatto a me”. Egli stesso è colui che riceve aiuto, quando questo viene reso ad ogni sofferente.
Questo è il senso veramente soprannaturale ed insieme umano della sofferenza. E’ soprannaturale, perché si radica nel mistero divino della redenzione del mondo ed è profondamente umano, perché in esso l’uomo ritrova se stesso, la propria umanità, la propria dignità, la propria missione.
Nella luce dell’inarrivabile esempio di Cristo, riflesso con singolare evidenza nella vita della Madre sua, il Vangelo della sofferenza, mediante l’esperienza e la parola degli apostoli, diventa fonte inesauribile per le generazioni sempre nuove che si avvicendano nella storia della Chiesa. Attraverso i secoli e le generazioni è stato constatato che nella sofferenza si nasconde una particolare forza che avvicina interiormente l’uomo a Cristo, una particolare grazia. Ad essa debbono la loro profonda conversione molti santi, come ad esempio san Francesco d’Assisi, sant’Ignazio di Loyola, ecc. L’uomo trova nella sofferenza quasi una nuova misura di tutta la propria vita e della propria vocazione. Questa interiore maturità e grandezza spirituale nella sofferenza certamente sono frutto di una particolare conversione e cooperazione con la Grazia del Redentore crocifisso. E’ lui stesso ad agire nel vivo delle umane sofferenze per mezzo del suo Spirito di verità, per mezzo dello Spirito Consolatore. E’ lui, come Maestro e Guida interiore ad insegnare al fratello e alla sorella sofferenti questo mirabile scambio, posto nel cuore stesso del mistero della redenzione e dischiude gli orizzonti del Regno di Dio: di un mondo convertito al Creatore, di un mondo liberato dal peccato, che si sta edificando sulla potenza salvifica dell’amore. Il divin Redentore vuole penetrare nell’animo di ogni sofferente attraverso il cuore della sua Madre santissima, primizia e vertice di tutti i redenti.
Non sempre un tale processo interiore si svolge in modo uguale e senza difficoltà. Quasi sempre ciascuno entra nella sofferenza con una protesta tipicamente umana e con la domanda del suo “perché”. Cristo non risponde direttamente e in astratto a questo interrogativo umano. L’uomo ode la sua risposta salvifica man mano che egli stesso diventa partecipe delle sofferenze di Cristo. E allora l’uomo trova nella sua sofferenza la pace interiore e perfino la gioia spirituale. Di tale gioia parla l’Apostolo nella Lettera ai Colossesi: “Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi”(1,24). Fonte di gioia diventa il superamento del senso d’inutilità della sofferenza. L’uomo si sente condannato a ricevere aiuto ed assistenza dagli altri e, in pari tempo, sembra a se stesso inutile. La fede nella partecipazione alle sofferenze del Cristo porta in sé la certezza interiore che “l’uomo completa quello che manca ai patimenti di Cristo” (Ef 6,12).
Il mondo dell’umana sofferenza invoca, per così dire, senza sosta un altro mondo: quello dell’amore umano. Non può l’uomo “prossimo” passare con indifferenza davanti alla sofferenza altrui in nome della fondamentale solidarietà umana. Egli deve fermarsi, commuoversi, agendo come il samaritano della parabola evangelica. Quest’attività in favore degli uomini sofferenti assume nel corso dei secoli forme istituzionali organizzate e costituisce un campo di lavoro nelle rispettive professioni.
Cristo dice: “L’avete fatto a me”. Egli stesso è colui che riceve aiuto, quando questo viene reso ad ogni sofferente.
Questo è il senso veramente soprannaturale ed insieme umano della sofferenza. E’ soprannaturale, perché si radica nel mistero divino della redenzione del mondo ed è profondamente umano, perché in esso l’uomo ritrova se stesso, la propria umanità, la propria dignità, la propria missione.
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lapaginadisanpaolo.unblog.fr/.../salvifici-doloris-sintesi-completo-nel.
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